I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, pubblicato tra il 1825 e il 1827, è da considerarsi come il più sistematico e compiuto esempio di romanzo storico della letteratura italiana. Le vicende si svolgono nella campagna lombarda, tra l’Adda e il lago di Como, e successivamente a Milano, tra il 1628 e il 1630, quando la Lombardia venne sconvolta dalla Guerra dei trent’anni, da una devastante pestilenza e dal dominio clerico-spagnolo.
Nonostante la struttura narrativa si ricolleghi ai più tradizionali schematismi romanzeschi – quello dell’amore di due giovani ostacolato dal capriccio di un nobile potente, e che solo alla fine riusciranno ad esaudire il sogno di sposarsi –, la storia è priva di risvolti avventurosi o fantastici, erotici o idealistici, e viene calata, invece, in un contesto fatto di valori morali e religiosi, nel bel mezzo di dinamiche sociali e storiche molto complesse. Nel capolavoro manzoniano, la realtà contadina s’intreccia con mondi assai diversi tra loro: la violenta nobiltà feudale, con le sue personalità e istituzioni; il clero come terribile regime inquisitorio; la cultura dei ceti sociali più alti come strumento di coercizione. Dietro l’apparente ambientazione pastorale e sentimentale, il mondo campestre di Renzo e Lucia, pacifico e operoso, diventa la dimensione in cui si scontrano forze che sembrano rappresentare tutte le classi della società lombarda e italiana. In questo modo, Manzoni collega una semplice vicenda di vita quotidiana ad un orizzonte molto più vasto, quello del tempo storico e della vita collettiva.
La normale esistenza dei due giovani amanti viene ostacolata da dinamiche non solo individuali o sociali, ma anche naturali, come la guerra, la peste o la carestia, e che trovano il loro motivo soltanto nel piano generale e inconoscibile della Divina Provvidenza, ovvero la sola capace di distinguere il Bene dal Male, motivare la loro coesistenza e la necessità del loro perpetuo conflitto.
Gli essenziali poli di forza, però, sono i personaggi, numerosi e descritti dall’autore in base ai caratteri sociali e psicologici di ciascuno. In essi, mondo laico ed ecclesiastico s’intrecciano fino a confondersi: Renzo e Lucia rappresentano il lato positivo della religiosità e del lavoro popolare, protagonisti della storia ed emblemi di un Amore che resiste, destinato a durare; Don Rodrigo è colui che fa rapire Lucia, condensa in sé i caratteri dell’avidità, è la forza negativa per eccellenza di tutto il romanzo, simbolo tragico del Male e della violenza; l’Innominato, figura catartica e di una potenza enigmatica, forse il personaggio più affascinante, compassionevole nei riguardi di Lucia a tal punto da convertirsi e trasformarsi in aiutante del Bene; Don Abbondio, il curato più vicino ai due giovani amanti, che soggiace per viltà alle minacce dei bravi di Don Rodrigo; padre Cristoforo, uomo straordinario che, attraverso la sua precedente vita di peccato e di superbia, e la sua conversione alla giustizia e alla carità, si affaccia al mondo degli umili, un percorso sostenuto dalla cultura e da una profonda esperienza, figura per eccellenza del Bene, e che aiuterà Renzo nella sua personale crescita morale; la monaca di Monza Gertrude, che da aiutante di Lucia si rivela essere una traditrice, immagine esemplare di chi vive le contraddizioni di un’epoca, tra il sistema ecclesiastico e l’oppressione sociale, la posizione subalterna dei poveri ed un’educazione patriarcale; infine, il cardinale Federigo Borromeo, la parte positiva e incorruttibile del vertice sociale ed ecclesiastico, emblema del Bene non corrotto dal Potere, un nobile alla ricerca di una religiosità autentica.
Il romanzo raggiunge il suo momento culminante con l’avvento della peste, la fuga di Renzo, il rapimento di Lucia, l’allontanamento di padre Cristoforo, e la drammatica sequenza della carestia del 1630, che permette a Renzo di rientrare nella Lombardia. Costretto a una sorta di legge del contrappasso, in un inferno del tutto manzoniano, Renzo attraversa una Milano in preda al contagio: di grande impatto emotivo e metaforico è la celebre descrizione del vigneto, simbolo dello squilibrio dell’ordine naturale, umano e divino. La peste assume nell’opera una funzione disgregante e al contempo provvidenziale: tutto si ferma, il Male e il Bene sembrano nascosti chissà dove, l’ordine sociale è sconvolto, il caos regna sovrano; ma è anche colei che mette sotto scacco gli ostacoli tra Renzo e Lucia, permettendo al primo di raggiungere colei che ama attraverso un percorso difficile ma necessario per il compimento della sua crescita.
Nell’incredibile e vastissimo affresco della Milano atterrita dalla peste, l’opera si avvia alla conclusione, in cui il forte realismo si condensa in un intensa raffigurazione simbolica, culminante nella pioggia purificatrice, a sancire la fine del morbo e il trionfo, irrazionale ma sempre glorioso, del Bene sul Male.
Ancora una volta.