Vedevo nel sogno paesi
fino ai quattro angoli dell’orizzonte
sottomessi alla riga, alla squadra al compasso;
falciate le foreste, distrutte le colline,
nei ceppi valli e fiumi.
Per quanto è grande la terra vedevo paesi
sotto una griglia di ferro tracciata
da mille rotaie.
E poi vedevo i popoli del sud
formicaio in silenzio al lavoro.
E’ santo il lavoro
ma non va più col gesto ritmato dei tam-tam
e dalle stagioni che tornano.
Gente del sud nei cantieri, nei porti,
nelle miniere, nelle officine, segregati la sera
nei borghi miserabili.
Accumulano montagne d’oro rosso,
montagne d’oro nero:
e muoiono di fame!
Léopold Sédar Senghor
Il lavoro non sempre nobilita l’uomo.
Leopold Sedar Senghor, scomparso nel 2001, presidente del Senegal dal 1960 al 1980 è stato oltre che un politico esemplare, un grande poeta e scrittore in lingua francese. Teorizzatore del concetto di negritude, è ricordato come uno dei più autorevoli pensatori ed intellettuali africani del secolo scorso.
Le sue poesie spesso costituiscono spunti di dibattito sociale. Le tematiche sono calde e riflettono le grandi piaghe della terra del poeta. Questo componimento in particolare ben testimonia l’impegno civile profuso da Senghor nella sua poesia.
Si è parlato e si parla molto spesso della schiavitù subita dall’uomo nero. Il punto di vista è però quello del padrone “bianco”. In questo caso invece leggiamo un punto di vista interno. Lo scenario delineato è quello di un pianeta spaccato a metà: da una parte l’occidente “civilizzato”, che ha rivoluzionato l’ambiente naturale, che ha sottomesso il mondo alle sue esigenze; dall’altra parte il formicaio piegato e silenzioso dei popoli del sud.
Dov’è la dignità del lavoro se il lavoro non contempla la stanchezza, non mira alla parità, ma al contrario accentua le differenze?
Ecco che tra le righe incrociamo la rabbia del nostro autore. La sua gente potrebbe essere più importante di quella al Nord, il lavoro potrebbe darle ricchezza e importanza nettamente superiori a quelle che hanno i popoli bianchi, eppure essa diventa sempre più schiava.
Versi che pongono l’accento su un tema su cui non si riesce mai a dire abbastanza, e soprattutto per il quale non si è in grado di trovare una soluzione concreta. Probabilmente ciò è dovuto al fatto che sono ancora in assoluta minoranza coloro che si impegnano attivamente. Tra questi però sicuramente dobbiamo annoverare Lepold Sedar Seghor, che tra tanti ha avuto il merito di riconoscere l’importanza della cultura nella lotta dell’Africa dimenticata, sicuro e consapevole che solo un’emancipazione culturale ed intellettiva potrà cambiare davvero le carte in tavola.