Quella di Rafik Schami potrebbe essere una delle tante storie di esiliati politici che raccontano e ricordano malinconicamente la terra natia. Nei suoi scritti effettivamente c’è tutta la Siria, dalle origini paleocristiane a quella del fulgore dei regni islamici fino al precipizio dei decenni bui dei conflitti interreligiosi di epoca contemporanea. Eppure i suoi romanzi e le sue storie per bambini rivelano la capacità di aver riscritto un’esistenza sul modello di una integrazione pacificata ed armoniosa con la nuova realtà culturale e territoriale in cui trovò dal 1971.
Nato a Damasco il 23 Giugno del 1946, proprio questa città oggi martoriata e violata da una guerra assurda e senza vincitori, rappresenta per lui oggi ,come quando era ragazzo, la più bella città del mondo:
“Prima di arrivare in Germania non sapevo che, in esilio, ogni mattina si pensa alla propria città. Da più di trentaquattro anni quando apro gli occhi penso a Damasco, la città più bella del mondo, e dal 1987 ho pensato ogni giorno anche alla storia d’amore che volevo scrivere” (cit. dalla postfazione al libro “Il lato oscuro dell’amore”,2006, ed. Garzanti).
Schami appartiene ad una famiglia della minoranza cristiano-aramaica proveniente dal villaggio di Maalula dove sorge uno dei più antichi monasteri cristiani che le recenti cronache denunciano saccheggiato e sotto assedio dalle milizie jihadiste. (http://www.ansamed.info/ansamed/it/notizie/rubriche/politica/2013/09/24/Siria-appello-patriarca-soccorsi-monastero-Maalula_9351096.html)
Nella accogliente e serena famiglia, con le sorelle ed i fratelli, il futuro scrittore crebbe apprendendo i racconti tradizionali, quelli da “mille e una notte” tramandati oralmente da vecchie zie ,dai nonni e dai vicini di casa. Da adolescente tra gli studi di tecnica e chimica e scorribande giovanili iniziò ad occuparsi di politica e dal 1964 fu tra i fondatori del giornale studentesco Al-Muntalak (punto di partenza). In un periodo di forte totalitarismo e repressione intellettuale Schami come molti connazionali fu costretto all’esilio per avere salva la vita propria e quella dei suoi familiari minacciati da un asfittico controllo militare e di censura.
Quando da diversi mesi soggiornava in Libano presso l’amico di infanzia Samir, l’Università di Hidelberg accolse la sua richiesta di ammissione alla Facoltà di Chimica. Fu in qualche modo la realizzazione del sogno di libertà ma per un giovane studente emigrato e politicamente perseguitato il processo di inculturazione e di inserimento nella società tedesca non fu affatto semplice. Schami tuttavia poteva contare sulle sue “storie”. Ispirate a fatti di cronaca dei vicoli di Damasco oppure nate dalla sua fantasia, queste “storie” gli consentirono di mitigare la malinconia e l’angoscia per la lontananza dalla madrepatria e dagli affetti familiari. Divenuto chimico ed impiegato in alcune aziende tedesche, negli anni “80 fondò un gruppo letterario, il Sudwind e contemporaneamente nel suo tempo libero iniziò a frequentare il movimento artistico-letterario Polikunst. Spinto da un approfondimento sempre crescente della tecnica e unitamente ad una dote naturale al romanzo ed ai racconti brevi, dal 1982 decise che avrebbe vissuto della sua penna avendo già dato prova in passato di una discreta produzione saggistica e pedagogica molto apprezzata in Germania. Qui infatti il suo primo romanzo breve “Una mano piena di stelle” del 1987 fu accolto positivamente dalla critica in concomitanza al dibattito in quegli anni diffuso circa il concetto di assimilazione tra culture “altre”.
L’impegno anche sociologico di Schami si esprime attraverso saggi, articoli ma anche scritti dedicati all’infanzia. Se ne contano a dozzine e quasi sempre sono articolati con metafore ed arricchiti di un corredo iconografico forte della collaborazione di fumettisti e disegnatori.
Tra le numerose opere per l’infanzia (ma evidentemente destinate anche ad un pubblico adulto) notevole successo hanno avuto “Il cammelliere di Heidelberg” (1986), “Chi ha paura dell’uomo nero?” (2003) , “Il dono incantato del brigante” (2011), tradotte e diffuse in molti paesi.
Per stile narrativo i romanzi di Schami, per lo più di genere epico e corale, ricordano Conrad o Marquéz ma nella ricostruzione minuziosa degli ambienti architettonici o piuttosto della toponomastica dei luoghi citati, una prima lettura richiamerebbe agli espedienti che Joyce utilizzava per ricordare la sua Dublino quando visse a Trieste.
Quando i suoi lavori vengono accostati ai romanzi ottocenteschi europei, Schami tuttavia sostiene una visione ed una tradizione completamente orientali nella sua formazione di scrittore: “A guidarmi è più l’arte orientale e mediterranea del mosaico che il romanzo europeo”. Proprio ad un grande mosaico, minuzioso e pregiato nelle sue cromie, è stato paragonato e descritto il suo più celebre romanzo “Il lato oscuro dell’amore”, pubblicato nel 2006, che racconta una storia d’amore intensa ma proibita e drammatica che si sviluppa attraverso tre generazioni delle famiglie Shahin e Mushtak con lo sfondo di due secoli di storia damascena, dalla seconda metà del XIX secolo sino agli anni del secondo dopoguerra. Un libro a cui Schami ha lavorato a lungo sin dagli anni immediatamente precedenti all’allontanamento dalla Siria.
Amore, odio, illusione e visione sono tra gli elementi emotivi di maggior rilievo in questo come negli altri suoi più celebri romanzi quali “La voce della notte” (2008) “La notte racconta” (1993), “L’amante di Damasco” (2009), “la Citta che profuma di coriandolo e cannella” (pubblicato nel 2011). Quest’ultimo ha la particolarità di essere stato scritto a quattro mani con la sorella Marie Fadel che ancora oggi vive a Damasco ed è nato dal progetto comune di raccontare la città della loro infanzia facendone percepire i sapori e gli odori. Ne è nato un libro-ricettario che trasporta il lettore fin dentro i vicoli secolari della Damasco cristiana ed islamica, tra la Cappella di Anania e la Moschea degli Omeyyadi che nei ricordi e nei racconti profumano di prelibatezze culinarie.
Oggi Rafik Schami è più che mai impegnato a sostenere il suo paese ed a seguirne le sconcertanti vicende politiche nonché le tragiche e dolorose perdite umane. In una delle ultime interviste rilasciate ha chiosato con questa espressione quanto mai lapalissiana ma evidentemente di difficile realizzazione: “Dobbiamo imparare a perdonare, e il perdono significa dimenticare qualcosa, altrimenti la vita diventa impossibile.” ma questo argomento appartiene ad un’altra “storia” ….