Ti incontrai quando ero uscita dal portone.
“Sai dov’è la caserma?”
Così, la caserma. Senza chiedermi quale, senza sapere se parlassi di una dei carabinieri, dei militari, della polizia.
“No.”
Avrei potuto chiederti spiegazioni, chiederti “dove? Quale?” ma non l’ho fatto.
“Vieni in macchina con me, la cerchiamo insieme…”
Eravamo una donna ed un uomo, io ti avevo chiesto di salire sulla mia auto. Io, donna vestita male e di fretta, ma comunque sfacciata e provocante. Forse troppo. Di che dovevi avere paura?
“Piacere, Paolo.”
Ecco chi eri: Paolo, napoletano, ventiduenne, tecnicamente ancora iscritto all’università (Economia aziendale, ma troppo fuoricorso), non ti piace fare il militare (sei un militare), vorresti cambiare caserma (carabinieri), hai una fidanzata, hai due bicipiti che sono la fine del mondo.
Che bello che eri. La tua magliettina a maniche corte verde, le All stars rosse, i jeans strappati sulle ginocchia. E quell’accento napoletano, poi…
Salimmo in auto, nella mia macchina sporca e disordinata. “Non ci far caso, non amo curarla.”
Ti accompagnai alla stazione più vicina, quella in via Cernaia, ma solo quando giunsi là davanti mi accorsi che era dei carabinieri.
“Ma scusa, non sai dove si trova…in che via è…?”
“Sì, presente Piazza Massaua?”
Sì, avevo presente, certo che avevo presente, il pullman fa capolinea là quando devo andare al lavoro.
“Ecco, lasciami là, poi so muovermi io…”
Ingranai la prima, la seconda, la terza, fino alla quinta. Non rispettai alcun semaforo rosso, la strada era sgombra e deserta, i riflessi dorati dei lampioni a colorare la strada nera.
“Eri da un amico?”
No, ero a scopare da uno. Mi ha dato 50 euro. Sai, io col lavoro che faccio non ci campo, sono una puttana che però raggiunge l’altro a casa sua. Con l’auto. Con questa auto, che Dio, se solo sapesse parlare, se solo potesse farlo…
“Sì. Una serata tranquilla. Un film. E tu?”
Tu da dove potevi essere uscito reduce, vestito così…così…semplice?
“Oh, io cinema con dei colleghi, anche noi film.”
L’imbarazzo si tagliava con un coltello, ma a me non importava niente, mi divertiva.
Silenzio.
…E intanto quelle mani mi aprivano le gambe, guidavo ma sentivo le dita intrufolarsi nel mio sesso, prima una poi due, su e giù, dentro e fuori, creando cerchi perfetti e bellissimi.
“Quando torni a Napoli?”
Su e giù, dentro e fuori, giuro che la macchina sembrava andasse avanti da sola, non avevo il controllo di niente, tremavo tutta. Avevo voglia di fermarmi al ciglio della strada e assaporarti, sotto la luce intermittente dei semafori arancioni. Avvicinarmi a te, baciarti poco sulle labbra e poi abbassarmi…
“Dicembre. Napoli mi manca sempre.”
…slacciarti la cintura dei pantaloni, i bottoni ad uno ad uno…
“Non ti piace Torino?”
…e poi passare alle mutande (spero tu abbia gli slip e non i boxer, sono molto sexy), maneggiare l’arnese, tirarlo fuori e succhiarlo avidamente, come una sposa la prima notte di miele.
“Sì, ma Napoli è Napoli. La gente, l’atmosfera, il cibo… Il cibo!”
…e tu mi sbatteresti qui in auto? Mi poggeresti come un oggetto sui sedili posteriori facendomi godere? Mi chiameresti con nomi fantasiosi e corrotti dalla pervesione? Mi diresti che son tua?
“Il cibo sì, concordo. Ho un’amica che è stata a Napoli e mi ha portato i…come si chiamano…i…i…?”
E poi mi daresti quanto? Quanto varrebbe la bocca mia, una sveltina con me, il passaggio in auto che ti do a notte fonda, io che abito da tutt’altra parte? Eh?
“I babbà?”
“Ma certo! I babbà! Ottimi. Mi son piaciuti molto.”
DIMMELO.
“Beh, potrei portartene un po’, prossima volta che vengo qui.”
“Sì, non male come idea.”
Sorrisi. Lo feci spesso durante quel viaggio a vuoto. A vuoto perché non cacciasti fuori niente dalle mani, fosse il tuo uccello o anche delle banconote.
Quella sera ti amai gratis, mi mancasti persino, quando scendesti dall’auto, salutandomi come niente fosse.
Come fossi un’amica, una conoscente, una puttana che non baci in bocca.