Gentile mister Zuckerberg,
Ho letto recentemente della sua intenzione di finanziare un programma di diffusione di computer e tariffe internet a basso costo. Il benessere e la democrazia si raggiungono anche e soprattutto attraverso la rete, ha tuonato, e via con joint venture con le grandi case produttrici e i più noti provider per portare il web anche nei Paesi più poveri o in via di sviluppo.
Devo dire, caro Mark, che in un primo momento, la faccenda mi ha impressionato favorevolmente. Ecco un altro miliardario americano che, dopo aver raggiunto l’apice del successo e della ricchezza, si sente in dovere di ridistribuire un po’ della sua fortuna anche ai più disgraziati. Un’altra bella storia stelle strisce, di quelle da farci un film.
Ma in seguito ha cominciato a suonarmi in testa una campanella.
All’inizio un trillo leggero, poi uno scampanio insistente.
Qualcosa non tornava e non riuscivo a trovarne la ragione. La diffusione della conoscenza favorisce senza dubbio il progresso, eppure sentivo che al suo progetto mancava qualcosa.
Non l’etica, certamente. Che cosa poteva interessare a uno come lei vendere più calcolatori o aumentare i contatti Facebook, ha già tanti di quei soldi, e certamente la nobiltà del suo animo le vieta di farne altri proprio a danno di chi ha di meno.
No, ci doveva essere dell’altro.
In seguito, tra rintocco e rintocco, ho capito.
I maestri!
Anche lei deve averne avuti. Ricorda? Quelli che discutevano, che spiegavano, che la prendevano da parte per chiarirle un dubbio, magari proprio su quell’informatica che l’ha fatto ricco. Quelli, infine, che le hanno trasmesso quei valori che certamente ora ispirano il suo programma.
La rete è prodigiosa, è vero. Sul web si può trovare di tutto, dalle istruzioni per il montaggio di una sedia a quelle per la costruzione di una bomba atomica, ma le pagine elettroniche non hanno inflessioni, accenti, toni, non hanno quel calore che solo una voce umana può avere e che da soli danno a una frase, a un concetto, un senso piuttosto che un altro.
Lo schermo di un computer riporta non chiarisce, non filtra. Sta lì, indifferente, lascia l’interpretazione all’utente, pronto a passare ad altro semplicemente con un clic.
E questa cos’è, se non democrazia, lei mi dirà. Via gli intermediari, ciascuno sarà finalmente libero di farsi delle opinioni. Incondizionatamente.
Eppure mi spieghi come fare, senza l’ausilio di un maestro, a decidere tra una teoria che vuole lo sterminio e una che propugna l’amore universale. A rigor di logica entrambe si tengono, quello che ci fa propendere per una delle due è altro, sono i valori.
Sono quegli insegnamenti che ciascuno di noi ha appreso in famiglia, a scuola, nelle parrocchie, nei partiti, nelle associazioni proprio grazie all’energia che le parole hanno assunto dalle modulazioni vocali, dal contatto umano, finanche dalla polemica con i nostri maestri.
Ecco, mi accusi anche di essere un conservatore e, se proprio vuole, un antidemocratico, ma io proprio non me la sento di rinunciare a loro. Non ce la faccio a immaginare un mondo perennemente perso dietro mille ipotesi, privo del colore delle parole, delle interpretazioni parlate e non semplicemente scritte.
Perciò, caro amico, se proprio le sta a cuore il benessere di quei Paesi favorisca la trasmissione orale della conoscenza prima di quella elettronica, incoraggi la costruzione di luoghi di apprendimento e promuova occasioni di scambio verbale prima che informatico. Mandi avanti i maestri, poi, forse, il web farà il resto.
E magari anche la mia campanella cesserà di suonare.