L’albergo Roma di Torino e il suo nome ambiguo erano già alle mie spalle, come lo era, d’altronde, la giornata intera trascorsa con l’illustre Cesarone. Ritornando alle mie memorie letterarie- l’aria della notte e il venticello fresco avevano un gran peso in quelle rievocazioni- mi venne in mente un bellissimo racconto di Alessandro Baricco, Novecento. Quello era per me un esempio di narrazione perfetta, un modello di semplicità disarmante che avrei voluto analizzare e comprendere. Chissà se il Generale Foglio Bianco avesse riservato nel suo esercito di letterati un posto per i contemporanei! Fino ad ora mi ero incontrato solo con chi aveva già lasciato questo mondo e due chiacchiere con un vivo mi avrebbero almeno dimostrato che ne facevo ancora parte (siamo alle solite!). Il Generale ascoltò con grande calma la mia richiesta ed accettò, non prima però di essersi lamentato per i costi che questa avrebbe comportato: “I vivi spendono”- , mi disse- “non vogliono ringraziamenti, con quelli non vanno certo a far la spesa!”. Per alcuni minuti restò pensieroso, poi di colpo si illuminò: mi avrebbe dato il numero e ci saremmo sentiti per telefono, in questo modo era certo che il signor Baricco avrebbe sensibilmente ridotto la parcella. Spilorcio d’un pezzo di carta, ma dovetti accettare…
Composi il numero e all’altro capo del filo risuonò una voce dolce e calma. Dopo l’inevitabile presentazione presi coraggio per levarmi dall’imbarazzo e chiesi : “Che cos’è un racconto?” “Il racconto”- rispose- “è un termine generale che comprende vari generi narrativi, dal più semplice al più complesso: la favola, la novella, la fiaba, il poema epico, il romanzo (nelle sue numerose gradazioni). Il racconto è presente in tutti i tempi e in tutte le società; comincia con la storia stessa dell’umanità. Non esiste, non è mai esistito, in alcun luogo, un popolo senza racconti. Le origini del racconto risalgono pertanto ad epoche ancora prive di testimonianze scritte, ad un mondo cioè in cui l’arte di raccontare apparteneva alla cultura orale, trasmessa da generazione a generazione per millenni. E’ probabile che originariamente il mito fosse l’unica forma di racconto come l’etimologia del termine rivela (in greco “mithos” significa proprio “racconto”). Il racconto poi (o testo narrativo) è studiato dalla semiologia o narratologia che ne indaga le leggi, i rapporti, le strutture, le categorie temporali, spaziali, casuali e le tecniche.” “E com’è strutturato un racconto?”- lo interruppi – “Ogni racconto”- riprese- “presenta una sua particolare linea di sviluppo formata, in genere, dai seguenti elementi. Dico in genere perché, bada bene, non sempre nel testo sono presenti tutti gli elementi che ti dirò, ma questo te lo spiegherò meglio dopo. Allora, dove eravamo rimasti? Ah, sì! Gli elementi del racconto sono:
– l’esposizione: è una sorta di introduzione al racconto fatta dal narratore;
– l’esordio: è il momento in cui un avvenimento o un personaggio mette in moto la vicenda;
– l’intrigo: è lo scontro fra i gruppi di personaggi;
– lo spannung ( in tedesco “tensione”): è il punto culminante della tensione del racconto, in cui sembra che le sorti del protagonista siano irrimediabilmente perdute;
– lo scioglimento: è la conclusione della vicenda.
Bene, prima ti stavo dicendo che non sempre in un testo sono presenti tutti questi elementi. Si possono avere molteplici varianti: l’esposizione può mancare, si può iniziare il racconto all’improvviso, oppure con un’esposizione per così dire, differita, disseminata cioè nel corso della narrazione. Anche lo scioglimento può mancare e la vicenda concludersi con lo spannung, senza che lo stato di tensione venga risolto.
Eccoti un racconto tratto dal “Novellino” intitolato “Vendere fumo” nella traduzione di Aldo Busi e Carmen Covito con l’individuazione degli elementi in cui si articola:
A Alessandria- dico quella nell’impero d’Oriente, perché di Alessandrie ce ne sono dodici, tutte fondate da Alessandro il Grande nel mese di marzo dell’anno in cui morì- in quella Alessandria, dunque, ci sono certe stradine dove tengono bottega gli arabi che vendono roba da mangiare pronta, e la gente, come fa da noi chi batte i mercatini di abbigliamento, va alla ricerca della strada dove le vivande sono meglio cucinate e più raccomandabili dal punto di vista igienico. ( ESPOSIZIONE )
Un lunedì, mentre un cuoco arabo (che si chiamava Fabrat) era lì ai suoi fornelli, gli arrivò in cucina un arabo povero con un pezzo di pane in mano. Non aveva una lira per comprare niente: tenne il pane sospeso sopra la pentola intercettando il fumo che ne usciva , e, farcito il pane dell’odore del cibo che cuoceva, gli dette un morso; poi ripeté il procedimento fino a che, piglia che ti piglia fumo e mordi che ti mordi pane, se lo fu mangiato tutto. ( ESORDIO )
Quella mattina Fabrat aveva venduto poco e male: interpretò la cosa come un malaugurio bell’e buono e s’incazzò con quest’arabo squattrinato. – Pagami la consumazione- gli disse. – Ma della tua roba io non ho preso altro che fumo- gli diceva il povero. – Quello che si prende si paga- diceva Fabrat. ( INTRIGO )
E la fecero tanto lunga che la notizia di una bega così originale, così scabrosa, così mai vista né sentita, giunse alle orecchie del sultano. Il quale, di fronte a una così nuova novità, radunò i suoi esperti, mandò a prendere i due contendenti e istruì il processo. I legulei arabi cominciarono a sottilizzare. C’era chi sosteneva che al cuoco non perteneva la proprietà del fumo, e adduceva molti argomenti: – Il fumo non è un genere alimentare, non è di sostanza, non ha né calorie né vitamine, è inutile: non lo deve pagare- . Altri dicevano: – Il fumo era unito in solido alle vivande, e era in possesso del cuoco perché era prodotto dalla sua proprietà: costui di professione fa il venditore e, di solito, chi consuma paga. Se la sostanza è rarefatta e al compratore gliene viene poco, paghi poco- . Se ne dissero un sacco e una sporta. ( SPANNUNG )
Alla fine fu emessa la sentenza: – Dato che costui fa di mestiere il venditore e gli altri fanno i compratori, tu, o sultano che rappresenti la giustizia, fa’ che gli sia pagata giustamente la sua merce secondo il suo valore. Se per i suoi cibi cotti, che egli vende insieme con le loro utili proprietà, riceve abitualmente una moneta utile, adesso che ha venduto fumo, cioè la parte impalpabile che esce dal cibo, tu, signore, fa suonare per terra una moneta: e decreta che con il suono che esce dalla moneta il pagamento è fatto- . E il sultano decretò che si facesse così. ( SCIOGLIMENTO )”.
“Molto bello”- dissi- “ e ora finalmente vorrei chiederle qualcosa circa il suo racconto intitolato Novecento…”- detto questo il Generale Foglio Bianco mi fece un’occhiataccia tanto malefica che mi terrorizzò ed io inventai lì per lì una scusa per congedarmi. Il tempo è denaro, amici miei!