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Glorie postume: Michail Bulgakov

Molto spiritoso, affascinante, sapeva e amava corteggiare le donne, gli piaceva molto giocare a carte ed era molto superstizioso.

Mi piace prendere a prestito questa descrizione fornita da  Tat’jana Lappa, la prima moglie, per introdurre il personaggio di Michail Bulgakov. Scrittore e drammaturgo censurato ai suoi tempi, considerato uno di quegli “intellettuali” ponte tra la letteratura e la cultura borghesi della Russia post-rivoluzionaria e la nuova epoca, Michail Bulgakov deve la sua fama all’ammorbidirsi dei costumi (sociali e politici) della modernità, giacché quasi tutti i suoi scritti, compreso il suo capolavoro indiscusso, “Il Maestro e Margherita”, ultimato nel 1939, fu pubblicato postumo, quando la censura stalinista allentò le sue stringhe.

Nato a Kiev, Ucraina, il 15 maggio 1891, Michail è il primo di sette figli di una famiglia della colta  borghesia sovietica. Il padre è professore di storia e critica delle religioni occidentali; forse fu questa circostanza a spingere il giovane Michail a disinteressarsi ben presto alla pratica religiosa. Scelse invece di dedicarsi alla scienza. Nel 1909 si iscrive alla facoltà di medicina dell’università di Kiev, dove si laurea (in ritardo, ma con una menzione d’onore) nel 1916. Immediatamente dopo la laurea è spedito (insieme alla moglie Tat’jana, sposata nel 1913) a Nikol’skoe, nel governatorato di Smolensk, per ricoprire la carica di dirigente medico dell’ospedale della zona.

Il lavoro è estenuante; per un anno il giovane Bulgakov, neolaureato, trascorre le sue giornate in ospedale, a visitare, come egli stesso scriverà nei celebri “Appunti di un giovane medico”, oltre cinquanta pazienti al giorno. È un periodo che sicuramente forgia il carattere di Michail Bulgakov; ne sono prova evidente i sette racconti che compongono gli “Appunti”, una sorta di quaderno autobiografico in cui il giovane medico e scrittore raccoglie i timori, le incertezze e le difficoltà quotidiane della sua esperienza di dottore in una cittadina di campagna, condendo il tutto con una buona dose di ironia – quella che anche in futuro non mancherà di contraddistinguere il suo stile, diventandone anzi una peculiarità – che forse nasce proprio in quei giorni, ingegnosa reazione all’impatto delle prime asperità, della vita e della professione.

Nel 1917 Bulgakov si trasferisce a Viaz’ma, dove divide il lavoro con altri colleghi medici; poi nel 1918 torna a Kiev insieme alla moglie, per aprire uno studio di dermatosifilopatologia. Se in campagna gli echi della rivoluzione l’avevano appena raggiunto, a Kiev assiste, secondo le sue stesse testimonianze, ad almeno quattordici sovvertimenti politici, di cui dieci vissuti in prima persona. Si fa strada così l’idea di abbandonare la professione di medico che, in quanto ufficiale pubblico, è maggiormente soggetto al potere e agli equilibri politici. L’occasione gli si offre nel 1919, quando viene inviato come medico militare nel Caucaso: qui inizia a fare il giornalista, trovando una degna alternativa alla carriera di medico, che in ogni caso avrebbe abbandonato l’anno successivo a causa del tifo.

Nel 1921 si trasferisce a Mosca; qui, tre anni dopo, divorzia dalla prima moglie e sposa in seconde nozze (si sposerà ancora nel 1932, con Elena Sergeevna Šilovskaja, la donna che gli resterà accanto fino alla fine)  Ljubov’ Belozerskaja. Sono gli anni del regime stalinista che poco ama gli intellettuali e gli scrittori “sovversivi”; a Michail Bulgakov non fu mai concesso di espatriare, nemmeno per recarsi a trovare i fratelli a Parigi. Il fatto di essere stato, per un breve periodo di tempo, lo scrittore preferito da Iosif Stalin in persona, che apprezzò soprattutto la commedia “I giorni di Turbin”, ispirata al romanzo “La guardia bianca” (1924), lo salvò probabilmente dalla persecuzione, ma non dalla censura, la cui scure si abbatteva in quegli anni su tutti gli scrittori che non appoggiavano il regime. Bulgakov, pur non schierandosi mai apertamente, conservò sempre un atteggiamento critico nei confronti dello stalinismo, che non di rado trapela dai suoi scritti (uno su tutti il racconto “Cuore di cane”, 1925), grazie a quella vena di graziosa ironia che sempre caratterizza la sua scrittura; per questo motivo la maggior parte dei suoi scritti rimasero ignoti ai più, almeno fino agli anni ’60, quando la pubblicazione postuma dei suoi romanzi e racconti, tra cui “Il Maestro e Margherita”, gli valse il biglietto di ingresso nell’Olimpo dei più grandi romanzieri del Novecento.

Nell’aprile 1930, il giorno dopo i funerali del suicida Majakovskij, una telefonata di Stalin in persona informò Bulgakov di aver ricevuto un incarico in teatro, anche se non nel ruolo di drammaturgo, che egli stesso aveva espressamente richiesto al regime, come alternativa alla possibilità di espatrio, in una lettera indirizzata al governo. Gli ultimi anni li dedicò alla scrittura di drammi e testi teatrali, nonché al completamento del suo grande capolavoro; gli furono necessari dieci anni per ultimarlo, dato che, si dice, nell’estrema tensione all’identificazione con il protagonista, il Maestro, Bulgakov bruciò la bozza del romanzo e, proprio come il suo personaggio, dové ricostruirlo a memoria.

La morte lo colse a soli 49 anni, per una sclerosi a placche, la stessa malattia che uccise il padre, e che l’aveva reso cieco. La sua tomba nel cimitero di Novodevičij, a Mosca, rimase tranquilla per oltre vent’anni. Poi, precisamente nel 1961, esplose, come scrive Vladimir Laškin, il “fenomeno Bulgakov”, che culminò con il successo de “Il maestro e Margherita”, considerato il miglior romanzo russo del secolo. A testimonianza che la caratura di un grande scrittore si riconosce sempre. A 30 anni di distanza, e oltre.