Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto perché ho amato.
Esistono in tutte le storie d’amore dei periodi difficili, dei momenti critici, degli anni controversi. Per l’attrice Eleonora Duse e lo scrittore Gabriele D’Annunzio quel tempo porta la data dell’anno 1904.Il Vate e la Divina hanno vissuto un amore passionale, problematico e profondo come testimoniano le lettere scambiatisi nel corso degli anni. Al Vittoriale se ne conservano circa millecinquecento; la biografa Franca Minnucci ricostruisce nel suo libro “La fine dell’incantesimo” la lacerante unione dei due, attraverso testimonianze, lettere e opere. Il loro primo incontro fu a Roma, nel 1882 e provocò lo sdegno di lei all’invito audace del D’Annunzio di giacere insieme; il fascino dello scrittore abruzzese, più piccolo della Duse di cinque anni e sopravvissuto alla morte di lei per quattordici anni, cominciò però da quella volta già ad esercitare un potere che sarebbe cresciuto di anno in anno. Nel suo lavoro la Minnucci si concentra sulle ragioni che hanno spinto l’attrice a rifiutare il ruolo nonché interprete teatrale del personaggio femminile tanto legato al Vate, diversamente da quanto si credeva ossia che fosse stato D’Annunzio a sostituirla nel ruolo di protagonista della Figlia di Iorio. ricostruisce con precisione in cambiamenti d’umore, le decisioni improvvise e tutto quel pathos e quella concitazione che si creò nell’anno della messa in scena della Figlia di Iorio.
Ma cosa aveva di così affascinante un uomo con i denti cariati e poco più alto di un metro e sessanta? D’Annunzio si era costruito un personaggio, aveva fascino, giocava con le parole e riusciva così a circondarsi di innumerevoli amanti folli d’amore per lui. Lo scrittore si concedeva per poi ritirarsi, lasciava credere alla donna che fosse unica, inimitabile, perpetuamente pura e per sempre sua e poi, l’abbandonava senza rimorsi, con un distacco tale da farle diventare folli.
Con la Duse le cose vanno diversamente in parte: vittima e carnefice dello stesso poeta che in un primo momento l’allontana, poi se ne avvicina in un gioco di dentro e fuori che lacera il cuore di continuo. Infine, dopo la sua morte sarà l’esteta a rimpiangerla amaramente.
E’ morta quella che non meritai
Che non meritasse le sue attenzioni e i suoi tormenti questo è certo. Mortificata di continuo dal suo amore malato finì con l’ammalarsi davvero e morire, di tubercolosi, a sessantasei anni, da sola. Sola come era stata in effetti tutta una vita perché, benché avesse avuto compagni come Arrigo Boito e Tebaldo Checchi, il suo amore per Gabriele D’Annunzio non aveva confronti, esaltandola e sfibrandola completamente.
La fine dell’incantesimo dunque c’è stato: l’amare un uomo così perdutamente da non sopportare l’idea di amarlo; il sentirsi unica e impareggiabile e poi l’ultima, l’aver perso denaro, forze e autostima e l’altalenante equilibrio precario della vita dell’attrice. Questo il prezzo da pagare in cambio di parole, passioni e tumulti d’amore.
Il lavoro della Minnucci, preciso e dettagliato getta maggior luce su questa storia entrando nell’universo della Duse e del suo tormentato amore.