Caro Peter, quasi mi vergogno mandandoti dopo circa un anno questo piccolo libro sulla Repubblica di Utopia, che forse tu ti aspettavi di ricevere al massimo entro sei settimane(….) Torno a casa e devo prima parlare con mia moglie, poi con i figli e, infine, con i servi. D’altra parte ciò è assolutamente necessario, se non si vuole diventare uno straniero in casa propria, ma oltre a questo uno deve anche porre la massima attenzione nel comportarsi amabilmente con le persone che, per sua scelta o per volontà del caso, ha vicine, senza però viziarle con una affabilità eccessiva, correndo il rischio di trasformarle, da subalterne che sono, in padroni.
Comincia così la lettera che Tommaso Moro invia all’amico Peter Gilles, primo segretario della città di Anversa nel 1510, in riferimento alla sua opera Utopia, pubblicata nel 1516.
Il lavoro di Moro trova ispirazione in alcuni scritti di Luciano e nella rappresentazione della città ideale proposta da Platone.
Il termine utopia, che dà il nome alla città miraggio di Moro è di fatto la traduzione dal greco di “luogo che non esiste”; l’opera è divisa in due parti e narra i viaggi del protagonista- filosofo Raffaele Itlodeo nell’isola di Utopia. Un mondo perfetto sotto tutti i punti di vista; non esiste la proprietà privata e tutti i beni sono in comune; c’è libertà di pensiero e tolleranza religiosa; il denaro non ha valore e la struttura agricola, sulla quale si basa l’attività lavorativa degli abitanti di Utopia, è finalizzata al solo consumo di quegli stessi beni prodotti, non al mercato. Così definita, la vita permette agli uomini di poter dedicare molto tempo alla lettura, alla musica e ogni forma di cultura in generale.
Il fatto è che persino il più rigido asceta non condanna mai duramente il piacere: ti spingerà a lavorare sodo, a rinunciare al sonno e a vivere senza comodità, ma ti dirà anche di fare del tuo meglio per alleviare le pene e i dolori altrui, convinto in nome dell’umanità, che sia lodevolissimo per un uomo essere di sollievo ad un altro, perché nulla si addice di più alla natura umana che addolcire le sofferenze del prossimo…
Un mondo ideale dunque, presentato da Moro in un tempo in cui le sue proposte erano all’avanguardia e fortemente idealiste rispetto alla realtà dell’epoca; un mondo di condivisione e rispetto, così lontani dalle perversioni degli uomini assetati di possesso, orientati su un egoismo del “tutto” ed “ora” così radicato da essere difficile da stanare. Eppure queste idee, vengono da un uomo; ecco allora che il progetto irrealizzabile auspica una possibile realizzazione: se una mente propone un nuovo mondo, se qualcuno crede alle sue parole, sentendosene scosso, allora l’utopia può divenire realtà.
Sfugge dal suo presente l’uomo di Moro e nella fuga ritrova se’ stesso; ma la sua non è solamente una evasione fantastica; piuttosto è un’analisi della sua quotidianità opprimente e un tentativo di riforma, nella creazione di uno stato perfetto dove non esistono ingiustizie e soprusi.