O insensata cura de’ mortali
quanto son difettivi silogismi
quei che ti fanno in basso batter l’ali!
È la terzina iniziale del canto. Siamo nel cielo del Sole: qui il Poeta, accolto trionfalmente dal canto delle anime beate, si abbandona ad un riflessione spassionata sulla vanità dei beni terreni, commiserando gli uomini per la loro cecità ottusa. In contrasto con loro, Dante si riconosce da tutte queste cose sciolto (la scienza, l’ozio, la passione della carne, il vizio e la speculazione filosofica), sottolineando la sua privilegiata condizione di uomo innalzato dal potere della Grazia alla gloria del Cielo.
Dopo questa digressione – quasi un proemio al canto – l’azione riprende con le parole di S. Tommaso D’Aquino, già incontrato in precedenza. Soprattutto nel Paradiso i canti risultano spesso legati gli uni agli altri. Anche in questo caso Dante crea uno stretto link tra il canto X e XI, e così sarà per il XII, a sua volta legato al precedente. S. Tommaso riprende dunque a parlare, affermando che sarà sua intenzione chiarire i dubbi del nostro pellegrino a proposito di alcune espressioni non pienamente comprese.
Nel suo nuovo esordio, S. Tommaso evidenzia il ruolo salvifico della Provvidenza, che, per venire in aiuto della Chiesa, dispose il sorgere di due grandi campioni: si tratta di S. Francesco e S. Domenico, vere e proprie guide, diversi fra loro ma entrambi necessari alla salvezza della Chiesa stessa. Dante costruisce i canti XI e XII con la medesima ratio, straordinaria nella sua costruzione: in questo canto S. Tommaso, domenicano, elogia S. Francesco, biasimando la degenerazione dell’ordine domenicano; nel canto successivo S. Bonaventura, francescano, tesserà l’elogio di S. Domenico, biasimando la degenerazione dei francescani. Al centro dello schema “chiastico” e del pensiero dantesco vi è soprattutto la critica alla spirituale decadenza dei seguaci dei due santi fondatori.
Entriamo quindi nel cuore di questo splendido canto XI, su cui troneggia incontrastata la meravigliosa figura di S. Francesco d’Assisi. Con parole di grande ammirazione, S. Tommaso disegna il quadro della vita e delle virtù del poverello umbro. Filo conduttore della narrazione della vita del santo è il motivo delle nozze di S. Francesco con la donna a cui ha dato tutto se stesso: Madonna Povertà, con cui il fondatore dell’ordine francescano si unisce in giovane età, rimanendo indissolubilmente legato a essa fino alla morte. La nascita tra i rilievi umbri, la rinuncia alle ricchezze paterne, l’inizio della vita ascetica e l’apostolato, la fondazione dell’Ordine, l’approvazione dapprima ufficiosa di papa Innocenzo III e poi quella ufficiale di Onorio III, il miracolo delle stimmate, la morte nella serena consapevolezza della visione di Dio: sono queste le principali tappe di una vita miracolosa, raccontata da S. Tommaso con endecasillabi dalla straordinaria forza poetica. Nel racconto di Tommaso – quindi, naturalmente, nelle parole di Dante – S. Francesco rivive come un combattente, un cavaliere, come quello che nei poemi cavallereschi combatte fino alla fine dei suoi giorni per conquistare l’amore di una donna. Anche il paladino Francesco ha la sua donna, Madonna Povertà, fulcro indiscusso di una vita.
Gli ultimi versi, come detto, sono incentrati sulla degenerazione dell’ordine domenicano: dopo aver elogiato il suo fondatore, S. Domenico – l’altro campione della Cristianità – Tommaso biasima con dure parole i suoi seguaci, paragonati ad un gregge che, attirato da nuove vivande – i beni mondani – si disperde, allontanandosi dal supo pastore, e ritornando all’ovile privo di latte, simbolo degli eterni beni spirituali.