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Pubblicare a tutti i costi?

Recentemente è stato rinvenuto un manoscritto inedito firmato da niente poco di meno che Ernest Hemingway. Il titolo è La mia vita nell’arena con Donald Odgen Stewart: cinque pagine dai toni umoristici composti da un Hemingway venticinquenne mentre si apprestava a concludere la stesura di Fiesta.

Quasi novant’anni fa la rivista Vanity Fair non volle pubblicarlo. Oggi, a distanza di tutto questo tempo, è polemica. La scoperta del racconto non ha potuto fare altro che destare la curiosità (culturale, ma anche commerciale) di molti, tra cui quella del direttore della rivista suddetta, Graydon Carter, intenzionato a pubblicarlo. Ma gli eredi dello scrittore si sono mostrati contrari. Dopo aver specificato, infatti, il valore poco letterario della storia in sé, è intervenuto anche il manager che si occupa dei diritti dello scrittore, il quale ha parlato della non corrispondenza tra gli obiettivi di un magazine come Vanity Fair rispetto alle scelte editoriali che hanno accompagnato il lavoro dello scrittore. Michael Katakis ha sostenuto che con molte probabilità Hemingway non avrebbe acconsentito, e avrebbe preferito destinare la propria opera a un tipo di analisi erudita.

Ma i lettori nonché seguaci dello scrittore non dovranno temere di perdersi una nuova storia e nuove parole firmate da colui che ha regalato loro successi come Il vecchio e il mare e Addio alle armi. L’opera, entro la fine di quest’anno, sarà pubblicata all’interno del secondo volume delle Lettere di Ernest Hemingway – 1923-1925.

Sorge spontanea una riflessione. Fino a che punto è corretto insistere per la pubblicazione di un manoscritto senza l’ok dello scrivente? Quando l’insistenza si trasforma in vera e propria pressione? In che termini si può parlare di privacy?

È commercialmente accettabile per un editore – per un direttore di rivista, poniamo il caso – rinunciare ad un papabile successo per evitare di scomodare il parentato di queste firme autorevoli?

Mi viene da pensare che se Augusto non avesse insistito perché non venisse rispettata la volontà di Virgilio – nel testamento l’autore fece richiesta di far bruciare l’Eneide – non saremmo mai entrati in possesso di un poema epico senza eguali letterari (checché possano sostenere gli studenti del liceo).

Sebbene spesso le motivazioni che spingono gli editori in questo senso siano classificabili più tra mire di successo che non tra ragioni di dovere culturale, non sarebbe comunque giusto privare il pubblico di lettori di opere di plateale valore letterario soltanto per seguire scelte predeterminate di nipoti o figli che si sono trovati a gestire un patrimonio enorme come potrebbe esser successo a Patrick, figlio di Hemingway.

Senza ledere i diritti di nessuno, scoperte di tale portata non possono restare nell’ombra.