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«Nel suo caso» proseguì il dottore, «abbiamo tutte le ragioni per credere che il parassita sia arrivato al cervello».
Il paziente prese un respiro profondo e chiese: «è grave?».
«Non si allarmi: non c’è pericolo. Non dimentichiamo che l’insicurezza non ha mai ucciso nessuno. Non stiamo parlando di una malattia letale, ma infida e bastarda, che a volte ci possiamo portare dietro per tutta la vita. Non ha manifestazioni eclatanti o particolari dolenze; si trascina silenzioso, quel verme. Ogni tanto, poi, caccia fuori segni di sé: e così abbiamo l’incapacità di affrontare le situazioni, tendenza ad evadere i problemi, complessi d’inferiorità, totale perdita d’autostima, camaleontismo, eccetera…»
«E per guarire?»
«Guarire non è facile. Occorre una grande forza di volontà, costanza e pazienza.
Come prima cosa dobbiamo anestetizzare apatia e sconforto: per questo sarà d’obbligo il fare. Qualsiasi cosa, ma fare: così da tenere la mente distratta mentre agiamo sul parassita. Dopodiché persegua ciò che le riesce meglio: se è incline alla pittura, disegni; se ha un lavoro, s’impegni; se è veloce, corra!»
«Ma non esiste un farmaco?»
«La sola cosa che posso prescriverle è sale di sudore e gratificazioni, almeno una dose a settimana. L’unica cura è la realizzazione di sé».