La scrittura e l’arte: molto più di uno scambio tra parola ed immagine ma una narrazione, tanto intensa e densa da snodarsi talvolta come un romanzo. D’amore, d’avventura o fantastico. E non perché dove non arriva l’una arriva l’altra ma perché parola ed immagine sono in dialogo costante: si evocano, si cercano, si trovano e spesso si fondono, completandosi a vicenda.
E allora il libro, quasi come un ready made duchampiano ma più poetico, si eleva ad oggetto d’arte e le sue declinazioni sono molteplici: dal libro quale materia, involucro, contenitore come lo Schedario (1967) di Ugo Nespolo, alla personalizzazione della forma stessa del libro come nei frontespizi di Guglielmo Achille Cavellini; fino alle pagine, dell’enciclopedia e persino della Costituzione, “cancellate” da Emilio Isgrò, artista, romanziere, poeta, per il quale la poesia è “arte generale del segno” . E il segno, che è la parola nella sua forma più sintetica, diventa punteggiatura in Proposizione: particolare (1990) di Maurizio Arcangeli.
“L’arte è un romanzo. La straordinaria storia delle parole che diventano immagini” (Palazzo della Penna, Perugia, fino al 1 settembre 2013) racconta le correlazioni tra scrittura e arte “due mondi che viaggiano in parallelo, perché le immagini hanno spesso la forza di trasformare in un altro linguaggio, più diretto ed esplicito, la forza comunicativa della parole.” (Luca Beatrice, curatore della mostra).
E quale connubio più riuscito di parole ed immagini se non il fumetto? Dal “progenitore della grafic novel” Dino Buzzati di Poema a fumetti (1969), vincitore del premio Paese Sera nel 1970, in cui visionarietà della pittura, popolarità del fumetto e narrazione fantastica sono perfettamente fusi, alle tavole erotiche di Valentina di Guido Crepax e a quelle avventurose di Corto Maltese di Hugo Pratt.
Ancora immagini, ma questa volta ad identificare un genere letterario, nelle copertine di fantascienza di Urania di Karel Thole o in quelle dei Gialli Mondadori di Carlo Jacono e nei libri per l’infanzia di Bruno Munari come Disegnare un albero (1978) e Favola delle Favole (1994).
Ma l’arte è in dialogo con la scrittura anche nel momento in cui cerca di dare un’interpretazione dello stato emotivo dell’autore, quando cerca di filtrarne i pensieri, al di là la barriera che lo scrittore si è creato, celandosi dietro la sua scrittura, mediante un’immagine, talvolta iconica, che parli dello scrittore, che sia lo scrittore stesso come nei ritratti di Pier Paolo Pasolini, Alberto Moravia, Italo Calvino della fotografa Elisabetta Catalano e ancora Pasolini, Andrea Zanzotto e Alfonso Gatto ritratti da Sandro Beccetti, per arrivare agli omaggi a Primo Levi, nell’opera di piccolo formato di Fabio Mauro ma soprattutto nella trasfigurazione di Noi non siamo gli ultimi (1971) di Zoran Music, che vivendo l’esperienza del campo di concentramento, fece del disegno una possibilità di salvezza e oltre che di testimonianza.
Il confine tra scrittura e arte, ammesso che esista davvero, è stato superato da molte personalità che su quel confine, a dire il vero, si sono volutamente collocate, come i nove “Pittoriscrittori” dell’omonima mostra (Spazio Don Chisciotte, Torino, fino al 22 giugno 2013) tra cui il già citato Dino Buzzati che, a conferma della sua duplice o, meglio, triplice natura, disse: “Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa” o Emilio Tadini, per Umberto Eco “uno scrittore che dipinge, un pittore che scrive”, che nel corso della sua vita alternò sempre le due professioni, lavorando prima su cicli tematici quale avanguardista della nuova figurazione negli anni Sessanta, per dedicarsi poi alla scrittura (il primo romanzo è Le armi, l ’amore, 1963) e tornare nuovamente a questa tra gli anni Ottanta e Novanta, dopo un periodo dedicato esclusivamente alla pittura. A conclusione della sua vita, dopo essere stato anche poeta e autore teatrale, fu critico d’arte e letteratura e con il saggio L’occhio della pittura (1999) e La fiaba della pittura (2002), i confini tra i due linguaggi si persero in una “scrittura dipinta” come quella di alcune sue opere tra cui Le figure, le cose (1980).
Come non annoverare poi “un dilettante della letteratura” (a definizione è sua) come Alberto Savinio, ossia Andrea De Chirico, fratello del più famoso Giorgio, diplomato in pianoforte e composizione, quindi musicista che, arrivato a Parigi, nel 1910, fu amico di Picasso e Apollinaire e sperimentò le prime composizioni poetiche in francese. Insieme al fratello frequentò l’ambiente della metafisica e ne diventò teorico con diversi articoli sulla rivista Valori Plastici. Nel 1918 esordì con Hermaphrodito, raccolta di versi, racconti, riflessioni. Tenne la sua prima mostra nel 1927 orientandosi verso una pittura metafisica ma, per certi versi, anche un po’ surrealista. Si dedicò alla scrittura di romanzi sui temi dell’infanzia, dell’inconscio e del mito e, tra le altre cose, sperimentò la grafica, scrisse musiche per balletti, fu scenografo e regista teatrale, con quella “necessaria versatilità”, come egli stesso la definì, che però lo fece accusare di dispersività, sminuendone, a tutt’oggi, il suo valore di artista a tutto tondo.
E ancora Filippo de Pisis, che da adolescente scriveva poesie ma si dedicò presto allo studio della pittura, in giro avventurosamente per tutta l’Italia e l’Europa. Autore di prose, liriche e poesie raccolte in Canti della Croara ed Emporio (1916), riportò quella stessa liricità sulle superfici dei suoi dipinti. Fu anche metafisico influenzato da Giorgio Morandi e dagli incontri con i fratelli De Chirico e Carlo Carrà. Utilizzò il collage, di derivazione dadaista, ma sempre in chiave poetica. A Parigi nel 1925, grazie a Manet, Corot, Matisse, la sua tavolozza si arricchì di cromaticità e il gesto pittorico si fece più immediato. A lui il poeta e amico Marino Moretti dedicò una poesia intitolata De Pisis, contenuta in Tutte le poesie (1966) in cui, festeggiando la prima mostra, tra una citazione leopardiana e una presa in giro in versi, viene data un’immagine ironica del giovane pittore in cerca di fortuna a Parigi, che prova a vendere all’amico, non troppo velatamente, un quadro con un vaso di fiori, uno di quelli per cui poi diventerà famoso. Le sue pennellate si evolveranno, successivamente, verso quel tratto veloce e sottile, su superfici pittoriche pressocchè sgombre, delle opere degli ultimi anni, definito da Eugenio Montale “pittura a zampa di mosca”.
Per finire con Carlo Levi, pittore, giornalista e scrittore. Studiò medicina e cominciò a dipingere sotto la guida di Felice Casorati. Esordì come pittore appena ventenne. Tra i fondatori del gruppo dei Sei di Torino, in opposizione a Novecento, a Parigi entrò in contatto con i Fauves, Modigliani e Kokoschka. Espose in Italia e all’estero ed ebbe grande successo nella personale alla Biennale di Venezia nel 1954. Cresciuto nel clima gobettitano di Rivoluzione liberale, partecipò attivamente alla Resistenza (fu tra i fondatori di Giustizia e Libertà) e, condannato dal regime fascista al soggiorno coatto in Lucania, scrisse il famosissimo Cristo si è fermato a Eboli (1945) realizzando nello stesso periodo numerosi ritratti della gente del luogo, a completamento di un’indagine psicologica e sociologica di un luogo e dei suoi valori che volle far passare sia attraverso la parola scritta che mediante l’immagine pittorica.
Perché se “L’arte è una parola” come ha detto l’artista francese Ben Vautier, forse è la parola più grande, in grado di contenere e di esprimere ogni forma e contenuto ed essere essa stessa forma e contenuto.
Non sorprende che la 55a Biennale di Venezia (fino al 24 novembre 2013), intitolata Il Palazzo Enciclopedico, sia ispirata all’idea di un museo immaginario in grado di ospitare tutto il sapere dell’umanità e si apra con il Libro rosso di Carl Gustav Jung, un corposo volume di oltre duecento pagine scritto e illustrato dallo psichiatra svizzero che vi lavorò per sedici anni, tra il 1914 e il 1930. Considerato un esercizio d’immaginazione attiva, è rimasto inedito fino al 2009 ed è esposto per la prima volta come un’opera d’arte, rappresentativa di quelle immagini interiori che le parole, forse, non possono esprimere o, almeno, non completamente.
Nel Padiglione Centrale della mostra un grande libro si squaderna sotto i nostri occhi carichi di sorpresa ed ammirazione proprio come davanti ad una straordinaria opera d’arte.
Per la serie: dalla scrittura all’arte e ritorno.