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“Lui è tornato”, o forse c’è sempre stato.

 

 

Di sicuro è il popolo che mi ha sorpreso di più. Eppure ho fatto davvero tutto ciò che era umanamente possibile per distruggere la sua futura esistenza su questo suolo profanato dal nemico”.

 

C’era una volta un omino con dei buffi baffetti, che affascinò la popolazione con le sue rivoluzionarie, estreme, idee. C’era una volta, e forse c’è ancora.

È da un libro scorto in una bancarella di volumi usati, “Hitler’s Second Book”, che Timur Vermes, studioso del Terzo Reich, decide di dare vita ad una storia tanto surreale da sembrare reale. Perché tutti conoscono Adolf Hitler, ma nessuno sembra sapere come sia arrivato al potere. Se infatti in Germania, cuore europeo, la politica del dittatore tra i più feroci della storia, viene spiegata dall’asilo, assorbita e digerita, come fatto compiuto; nel resto del mondo occidentale si è imparato a guardare al nazismo come un corpo estraneo, una falla diabolica autogenerata, senza sorgente, senza seguito. Tuttavia, nella giostra di ruoli e colpe della storia, l’interrogativo più importante sembra essere aggirato da una satira esorcizzante o da frasi di circostanza che la società ha sviluppato per auto-assolversi. E infatti, Come è potuto accadere? Chi ha dato il consenso? “Lui è tornato”, edito Bompiani 2013, queste domande le pone con ironia, lasciando al lettore tutto il peso della risposta. In un’analisi di utopico disincanto, Vermes costruisce un fantasy diabolicamente reale, in cui la seduzione diviene l’arma più potente per soggiogare una Germania democraticamente tecnologica, ma incapace di riflettere sui propri errori. Che dopo un letargo di 66 anni, l’ex-dittatore nazista si trovi a rimettere insieme i pezzi della sua politica rinchiuso in un’edicola, non è un caso. L’informazione, il sapere come mezzo principale per modellare le menti è un punto cardine di ogni dittatura, ma il dato più agghiacciante del libro, che nella narrazione in prima persona costringe il lettore ad addentrarsi in una riflessione profonda, è la debolezza di un sistema che si nasconde dietro la tecnologia per ironizzare su tutto, aperto al mondo ma del tutto inconsapevole degli avvenimenti che lo circondano.

La spietata critica alla società contemporanea pone il lettore davanti alle sue colpe. Il comedian con la maschera del mostro” non solo non viene riconosciuto, ma acclamato come star di YouTube riesce ad ammaliare le menti inconsapevoli del popolo tedesco. Dal Bild alla tv, scambiato per un attore, ridicolizzato dai passanti, Hitler continua ad affermare le sue xenofobe idee con un microfono che gli viene consegnato senza alcuna resistenza. Un paradosso surreale che evidenzia il bisogno inconfessabile degli individui moderni di semplificare la complessità contemporanea. È su questo dato immutabile che Hitler fa perno, parole concise, chiare, comode perché non pongono altri dubbi. Un Hitler che non è più solo un mostro, il Diavolo da cui fuggire, ma un cittadino, come cittadini sono stati coloro che lo hanno idolatrato e fanaticamente seguito nella sua follia che si è rivelata specchio di una società intera. Timur Vermes svela il vero volto dietro la maschera del mostro, quello dell’uomo. Brillante, cinico, diretto, Lui è tornato perché in fondo non è mai andato via, la porta era solo socchiusa. E nell’epilogo, che si rivela la previsione di un nuovo inizio, Vermes rende chiara la sua critica ad una società di slogan e pubblicità senza profondità. “Non era tutto sbagliato”, recita il cartellone elettorale. Al lettore la responsabilità di decidere il finale.