Questa settimana vi suggeriamo l’analisi di un articolo davvero interessante che fa parte del mensile GQ di luglio.
L’articolo, scritto dal Premio Pulitzer Adam Johnson, è risultato molto curioso per l’argomento che si propone di trattare; per questo mi sembra utile riportarne di seguito alcuni stralci da me tradotti.
Tutti ricorderemo il giovanissimo leader nordcoreano Kim Jong-un che nei mesi scorsi, con una calma agghiacciante, aveva minacciato di attaccare direttamente gli Stati Uniti, sfidando tutte le potenze mondiali.
Bene, ciò che Johnson propone nel suo articolo è di scavare più a fondo nel passato della Corea del Nord, intervistando quello che a suo tempo fu cuoco, spalla e confidente di Kim Jong-il, il padre dell’attuale leader nordcoreano.
Molti potrebbero restare indifferenti di fronte ad una simile occasione, ma il giornalista di GQ mette subito in chiaro la questione scrivendo:
Quello che sappiamo della Corea del Nord proviene da foto satellitari e dalle storie dei disertori, che sono impossibili da confermare. Nonostante la Corea del Nord sia una potenza nucleare, ancora si deve costruire il primo semaforo. La rubrica telefonica non è ancora stata inventata.
[…]
Non sappiamo esattamente quante persone ci vivano (un’ipotesi sarebbe di circa 23 milioni). Sono incerte le cifre riguardo le morti durante la carestia alla fine degli anni ’90 (un’altra ipotesi, forse 2 milioni). Misterioso resta il numero delle vittime costrette ai lavori forzati, ai quali i prigionieri sono inviati anche senza processo e senza condanna (la stima è di 200.000 persone).
Insomma notizie e ipotesi che non possono trovare risposta, se non da chi corre il rischio e decide di raccontare la propria esperienza. Come afferma Johnson queste persone i fuggitivi sono persone che tendono a scappare dalle aree rurali, dove la vita è molto più pericolosa. Infatti la gente raramente abbandona la capitale, così le notizie non trapelano lasciando un alone di mistero intorno ad una nazione già di per sé oscura.
Per questo articolo Adam Johnson ha intervistato lo chef Kenji Fujimoto, che oggi è per il Giappone il miglior informatore dell’Intelligence giapponese sulla famiglia Kim.
Il nome dello chef, un nome di copertura, è Kenji Fujimoto che per undici anni è stato il cuoco e la spalla personale di Kim Jong-il ( che dal 1994 al 2011 ha ricoperto la carica di Supremo Leader della Repubblica Popolare della Corea del Nord).
Ha visto i suoi palazzi, cavalcato i migliori cavalli bianchi, fumato sigari cubani, e osservato come le persone intorno a lui scomparivano. Uno dei ruoli di Fujimoto era di volare, con il jet privato del Leader, dalla Corea in tutto il mondo per procurarsi i migliori ingredienti per le cene e i party: in Iran per il caviale, a Tokyo per il pesce, o in Danimarca per la birra. […] Se al Leader veniva voglia di un Big Mac, era lo stesso Fujimoto a partire per Pechino per procurarlo da McDonald’s.
Il cuoco, sfuggito ad un’altalena tra lusso e morte, racconta di quanto i suoi servigi fossero richiesti dal Leader per soddisfare i suoi ospiti, e attraverso la penna di Johnson possiamo leggere anche come da lui era stato reclutato:
Aveva avviato un corso per allievi desiderosi di apprendere l’arte del sushi sulla costa orientale, nella città di Wonsan, quando giunsero parecchie Mercedes nere. La prima vettura portava la targa 2-16, il compleanno di Kim Jong-il (da notare che anche la data di nascita del figlio, attuale Leader di Corea, è nota grazie a Fujimoto). La seconda automobile conduceva cinque ragazze rapite in Thailandia per divenire schiave sessuali del Leader e i suoi ospiti. A Fujimoto era stato chiesto di entrare nella terza vettura.
In una pensione di Wonsan, Fujimoto preparò sushi per un gruppo di dirigenti che sarebbero poi arrivati con uno yacht. Dirigenti è ovviamente un eufemismo del cuoco per indicare generali, funzionari di partito e burocrati di alto livello. Con la parola pensione lo chef indica invece una serie di palazzi con ogni tipo di comfort e lusso.
Quando alle due di notte la barca attraccò, Fujimoto cominciò a servire sushi a uomini che, evidentemente, avevano già avuto molto da festeggiare.
Lui era stato assunto proprio per realizzare questo tipo di incontri, i quali avvenivano uno dopo l’altro, fino a quattro nell’arco di diversi giorni.
Questo è il racconto di un uomo sfuggito ad un lavoro dal quale non esiste licenziamento, se non con la morte, un uomo che per tanti anni dopo la sua fuga è stato costretto non solo a cambiare nome, ma anche ad indossare perennemente un giubbotto antiproiettili a causa dei sicari che gli danno la caccia.
Ringraziamo Adam Johnson per questa testimonianza.