13 settembre 1985
Caro diario,
ho i brividi, sento le mani gelate come se il sangue, arrivato all’altezza del polso, decidesse di cambiare itinerario e di non arrivare alle mie dita, faccio fatica a scrivere ma fatico anche all’idea di non farlo. Mi sono coperta allora, ho messo i guanti e una sciarpa e sono affondata nella felpa. Oggi ho mangiato della pasta, circa 40 grammi, in bianco, solo un filo d’olio e una spolverata di grana, poi un’arancia ma era secca, l’ho buttata giù più per noia che per fame o gusto. Stasera non ho voglia di nulla e poi mi sembra un inutile spreco sporcare il metallo lindo delle piastre solo per me, per me sola, loro non ci sono e allora che senso può mai avere? Senso non ne ha. Sono le 19:00 e lui mi ha promesso che me la farà sentire ma ancora nulla, il telefono è muto e io sto gelando. Nessuna notizia, nessuna novità, non mi prende nessuno, sono vecchia per qualsiasi azienda e allora aspetto il trillo per sentire il suono argentino della voce di Sofia. Lei mi chiederà “come stai mammina?, hai mangiato?” e io le risponderò che sì, ho mangiato e…
14 settembre 1985
Caro diario,
ho interrotto bruscamente ieri, ma il telefono ha suonato ed era la mia Sofia, lo so che non è possibile ma ho sentito il suo odore, quell’odore di bambina paffutella, arrivarmi prepotente alle narici dalla cornetta, ho sentito la morbidezza delle sue manine grassottelle accarezzarmi il mento, i capelli biondi e sottili solleticarmi una guancia. Poi ha cominciato a lagnarsi, pigolava la mia stellina, diceva che le mancavo e mi ha chiesto perché non le voglio più bene. Ho sentito una fitta dolorosa, al centro del petto, ho sentito quelle manine grassocce oltrepassarmi la carne, spostare le ossa del mio sterno, districarsi nel groviglio di muscoli e vasi sanguigni e strapparmi via il cuore. L’ho rassicurata chiaramente, le ho detto che la mamma la ama più di prima e che appena quel signore che decide le cose dei grandi mi darà il permesso io l’andrò a trovare. Ma lei nulla, ha cominciato a strillare, a piangere, una crisi isterica ed io non potevo fare altro che stringere le mani gelate alla cornetta fino a farmele diventare viola, e ho cominciato a urlare pure io, io che volevo toccarle il pancino tondo e accarezzarla, darle conforto e stringerla a me, ma non potevo. Non potevo fare nulla. Lei si contorceva ad un capo e io ad un altro finché non ho sentito un tuono che mi ha zittita, in un attimo. Riuscivo a distinguere solo poche parole nel fiume di collera che arrivava al mio orecchio, ho sentito: stupida, incosciente, egoista, malata, bastarda. Ho respirato tutta l’aria che ero capace di tirarmi nei polmoni quasi a volermi soffocare. Il tuono è cessato e Marco, il mio ex marito, ha ripreso il suo solito contegno, mi ha persino chiesto scusa e poi, come se fossi una bambina, con il suo tono da professore che io tanto detesto, mi ha spiegato perché io sono pericolosa “per la bambina”, dei danni che il mio comportamento aveva procurato in passato, e stava procurando, “alla bambina”, concludendo che nei giorni seguenti, fino alla decisione del giudice è meglio limitare i miei contatti con “la bambina”. È a quel punto che ho smesso di trattenere il fiato e ho urlato “Sofia, la bambina si chiama Sofia”, e ho messo giù.
12 novembre 1985
Caro diario,
tutta la mia vita è un disastro, un fallimento, io sono un fallimento, io sono un fallimento, io sono un fallimento, io sono un fallimento, io sono un fallimento, io sono un fallimento, io sono un fallimento…
18 novembre 1985
Caro diario,
ho perso un dente così, d’improvviso, è venuto via. L’ho guardato lungamente stringendolo tra pollice e indice della mano destra. Era ancora sporco di sangue e, come ridestandomi da un sogno, sono corsa a sciacquarlo in bagno, l’ho lavato per bene, con lo spazzolino, non ho potuto cancellare il giallo però, quel colorito malaticcio che mi è parso di notare per la prima volta e così, pulito ma brutto, l’ho infilato in un barattolo con gli altri due. Ho persino riso quando ho immaginato che i fratelli lo accogliessero gioiosi, gli chiedessero come vanno le cose nella mia bocca, contenti di avere qualcuno di nuovo con cui chiacchierare. Sono rimasta a fissare il contenitore per un tempo che mi è parso infinito, ma tanto non ho di meglio da fare e solo dopo quell’eternità spesa a contemplare qualcosa che prima era parte di me mi sono decisa a controllare gli effetti della perdita. Un vuoto, un buco insomma. Buco è la parola con cui in questo momento può essere definita la mia intera esistenza. Solo allora ho realizzato che si trattava di un incisivo e questa assenza così prepotente mi ha restituito un’immagine nello specchio che è quella di una vecchia, ho solo 35 anni ma poco importa, il riflesso di me dice che sono vecchia, e brutta, e senza denti, e sola. Avrei voluto lasciare il barattolo sulla mensola in bagno, guardarlo quando ne avevo voglia, ma se poi dovessi ricevere la visita di qualche assistente sociale? Come potrei spiegargli che io devo vedere, ho bisogno di vedere, non capirebbe. Allora mi sono decisa a riporlo e, nel mobiletto in basso, ho trovato degli assorbenti, non credevo di averne ancora e invece sono lì perché, caro diario, le cose materiali non pensano e allora non capiscono quando è il momento di andare via, non sanno che alle volte il loro posto non è più quello in cui si trovano. Se li butto via avrò perso, e se non lo faccio mi ricorderanno ogni mese la mia sconfitta. Se avessero una coscienza se ne andrebbero via e forse lo farei anch’io. Ho sonno.
23 dicembre 1985
Caro diario,
sono furiosa e felice: oggi ho visto Sofia. Le hanno messo un vestitino di lana bianco con disegnate delle fragole, un cerchietto rosa nei capelli e delle scarpine color panna. Era un sogno mentre correva verso me. Mi è saltata letteralmente addosso e l’ho afferrata ma pesava troppo e siamo cadute, ridendo. Ci siamo rotolate a terra senza smettere di ridere e l’ho annusata, sapeva di caramelle, l’ho baciata, prima piano e poi con una foga crescente, le ho fatto male lo so, ma lei non si è lamentata e ha lasciato che io mi riempissi di lei. L’assistente sociale mi ha detto solo buongiorno e mi ha sorriso con un’espressione che tradiva pena e compassione e io non ho potuto resistere, ho ricambiato sguardo e sorriso mostrandole la mia dentatura recentemente orfana di un pezzo piuttosto importante. Si è accomodata arricciando naso e bocca in una smorfia di disgusto, sapesse anche solo un po’ quanto mi disgusta lei credo si toglierebbe quel ghigno dalla faccia. Ma forse lo immagino soltanto. Sofia si è messa a cavalcioni su di me e mi ha passato una manina sulla bocca, credo volesse guarirmi, ancora una volta però non ha detto nulla. Anche la mia bambina è vecchia, come me. Sa quando parlare, sa quando non farlo, non mi fa domande che potrebbero ferirmi, ora è lei un po’ mia madre ed io un po’ sua figlia. Avevamo due ore per curarci un poco l’anima strappata dalla distanza. L’ho cullata come quando era una neonata facendole poggiare il viso paffuto sulla mia spalla, le ho messo una mano sulla schiena e ho cominciato a dondolare accarezzandole la testa, credo volesse abbandonarsi e addormentarsi ma lottava con tutte le sue forze per tenere su le palpebre, per non sprecare il tempo che poteva trascorrere con me. Le ho raccontato alcune favole, come facevo un tempo, e sono stata il lupo, dalla voce cavernosa, una principessa, ovviamente di nome Sofia, con la voce argentina, un principe dalla voce virile, forse ho imitato un po’ quella di Marco. Sofia poi ha voluto prendere il tè, come potevo dirle no? È corsa trotterellando al mobile in cucina e ne ha tirato fuori un pacco di biscotti al burro e ho avuto il primo giramento di testa. Abbiamo apparecchiato la tavola, preso le piccole tazzine nelle quali abbiamo versato il nostro simil-tè, che altro non è se non succo di frutta e poi Sofia, con quelle manine un po’ sporche, mi ha offerto un biscotto. Le ho detto di no. Dai mammina, mi ha incalzata lei. E io ancora no. Dai uno solo mammina, ha uggiolato lei. E allora quella bestia dagli occhi verdi, che mi divora mentre io non divoro nulla, si è svegliata. È stato il profumo dei biscotti, l’idea di Marco con quella nuova donna, l’espressione dell’assistente sociale, o l’idea di avere una figlia così grassa, non lo so, ma la bestia si è svegliata. Le ho urlato che è cattiva, che mi vuole comandare, che è stupida e che è brutta, che è grassa e sarà sempre grassa. E la odiavo, la odiavo davvero: io odiavo la mia bambina. L’assistente sociale si è precipitata dentro come una furia, ha preso Sofia come se fosse uno scatolo di scarpe e se l’è infilata sotto il braccio lanciandosi verso la porta. Io ho chiesto scusa, ho supplicato, Sofia piangeva e pure io. Sofia ripeteva sono cattiva, e pure io. Ma nulla, l’ha portata via. Qualche ora più tardi Marco mi ha chiamata e mi ha detto che per lui sono morta, che farà tutto quello che è in suo potere perché io non veda più “la bambina”. Ha detto che se voglio distruggermi a lui non importa nulla ma che mi impedirà di distruggere anche “la bambina”. Stasera per cena un mandarino. Vado a letto e spero di non svegliarmi.
7 febbraio 1986
Caro diario,
forse sono un mostro, uno di quelli dei film. Amavo Dracula da ragazzina, sognavo mi trasformasse in un vampiro. Non ero un’appassionata di horror o cose del genere, solo di vampiri. Tutta la liturgia mi affascinava: la luce, i paletti di frassino, un padre creatore, c’era qualcosa di così attraente che non saprei spiegarlo. Ho desiderato fino all’adolescenza di essere un vampiro, e quest’anno credevo che il mio sogno di ragazza si stesse avverando. Sono bianca, molto bianca e ho un aspetto spettrale ma poi, sorpresa, ho dovuto ammettere di stare diventando un licantropo. Una peluria soffice ha cominciato a spuntarmi dappertutto, persino sulle guance e, dopo un’iniziale sconcerto, devo dire che mi ci sto abituando. Passo delle ore ad accarezzarmi, con la punta delle dita sfioro le punte dei peli, prima in un verso e poi in quello opposto. Chiudo gli occhi e immagino ci sia Marco, anche se non credo apprezzerebbe molto questa nuova me, donna licantropo: quando stavamo insieme non sopportava nemmeno io lasciassi trascorrere troppo tempo tra una ceretta e l’altra, figurati ora che i peli mi crescono persino sulle orecchie. Sono due anni oramai che siamo separati, Sofia avrebbe festeggiato il suo primo compleanno nemmeno un mese dopo. Ho pianto fino a prosciugarmi, credevo che fosse il dolore più grande che si potesse provare. Poi mi hanno portato via Sofia. Vorrei dire che sono cattivi, vorrei dire che Marco me l’ha portata via per regalarla alla sua nuova amichetta, per regalare alla donna che ama adesso. E a Marco lo dico, gli urlo che ha preso Sofia per donarla come fosse un peluche. Ma so che non è vero. Non la facevo mangiare, le dicevo che era grassa, perché io la vedevo enorme, troppo grossa, temevo esplodesse. Non volevo farle male, io davvero non volevo farle male. Poi venne il giorno in cui svenni e Sofia rimase accanto a me priva di sensi per delle ore. Non ha parlato per giorni, credeva fossi morta. Però ho deciso, io voglio guarire diario, io guarirò perché voglio Sofia, stasera ho mangiato un mandarino e una mela, ma da domani voglio guarire.
23 febbraio 1986
Caro diario,
oggi ho mangiato un mandarino, ma da domani giuro cambierò, io voglio guarire, ma loro non lo capiscono, ricovero coatto dicono, ma non capiscono che io già sto guarendo, che ognuno ha i suoi tempi. Io guarirò e Sofia tornerà con me e mi perdonerà. A domani diario.
23 febbraio 2013
Caro diario,
non so perché sento il bisogno di scriverti, come se fossi reale, sento forse il bisogno di restituirti qualcosa dopo averti letto, di darti delle spiegazioni, dopotutto eri l’unico amico di mia madre. Dopo l’ultima volta in cui ti ha scritto è andata via, dove non ha sentito più dolore e sensi di colpa. Dove l’amore per me non la faceva stare male, dove non eravamo una bambina grassa e una madre incapace. Solo mamma e Sofia. Ho dubitato per anni mi amasse, mi amasse sul serio, poi ho letto queste pagine. Lei mi amava, ma quel mostro ha avuto la meglio. Se mi senti mamma io ti perdono, è quel mostro che non perdono. Ma forse per la prima volta dopo anni, in mezzo a qualche riga, ho sentito la tua voce.
Con amore,
Sofia.