Ci siamo già occupati in passato del fenomeno delle EAP, ossia le case editrici che, da un punto di vista sia pratico che semantico, case editrici non sono. Queste pseudo-editrici pubblicano richiedendo un contributo economico agli autori o obbligandoli all’acquisto di un numero piuttosto alto di copie del proprio libro. Questo fenomeno, da noi stigmatizzato, è oramai conosciuto e lampante e ne parlano in molti. Chi pubblica a pagamento è liberissimo di farlo, noi siamo liberi di considerarlo sciocco e, così come scelto dalla nostra rivista, possiamo decidere di non recensire gli autori che si avvalgano di tale modalità, sebbene spesso gli autori mentano in proposito. Il nostro non è ovviamente un tentativo di punire chi scrive, ma una volontà di non colludere con il fenomeno. Tutto risolto perciò? Proprio no!
Frequento spesso forum dedicati ai libri e agli scrittori: non mi iscrivo, ma leggo con interesse opinioni e scambi di esperienze, forse sono una sorta di guardona a ben pensarci… insomma cerco storie, libri, opinioni, realtà, per interesse, per curiosità e per lavoro. In questo modo ho scoperto qualcosa di incredibile: le EAP sono peggio dei gremlins, e molto più sfacciate. Tutto parte dal commento di un’aspirante scrittrice che, in uno di questi forum, lamenta le sia stato chiesto di acquistare ben 290 copie del suo romanzo. E lei? Beh, lei le ha acquistate, dopodiché la casa editrice si è volatilizzata, ma questo era solo l’inizio. In uno zapping virtuale, di forum in forum, scopro che le stesse EAP commentano indignate queste esperienze, autocandidandosi a valida alternativa. Come? Loro non chiedono acquisto di copie della propria opera, né chiedono contributo economico, obbligano “solo” all’acquisto di altri libri del proprio catalogo. A me hanno fatto venire in mente quelle terribili strutture piramidali molto diffuse negli anni ‘90, in cui il proprio lavoro era procurare altri piccoli investitori, stessa cosa dovevano fare i recrutati a loro volta. Fuffa, insomma. Troppo simile al modello originale di EAP? Non temete, le soluzioni sono diversificate. Esiste il concorso gratuito, spesso per poeti, in seguito al quale sarete contattati dagli organizzatori stessi che, comunicandovi che siete i fortunati vincitori, vi chiederanno un pesante contributo per vedere la vostra opera stampata. E se voi, malfidati, oserete parlare di editoria a pagamento vi risponderanno che si tratta di soldi necessari a sostenere le spese di pubblicizzazione, magari anche per un passaggio in tv. Oh, il fascino del piccolo schermo!
Ma mettiamo il caso voi siate proprio intransigenti e vi rifiutiate di partecipare in alcun modo alle spese di stampa e diffusione dell’opera: non disperate, le pseudo-editrici hanno comunque una soluzione per prendere soldi anche da voi. La richiesta sarà -ad esempio- di pagare la correzione delle bozze, ma che vi assicurano sarà approfonditissima; o ancora di dare un piccolo contributo perché il vostro testo sia valutato più in fretta di quello degli altri. Sempre senza giudizi di merito, mi chiedo perché io dovrei pagare all’editore un servizio di questo genere quando dovrebbe credere nel valore del mio libro, che necessiterà sì di un lavoro di edizione ma non esagerato e stravolgente; se invece così fosse, che senso avrebbe per lui pubblicare qualcosa scritto da me, emerita sconosciuta? Forse gli importa solo intascare i soldi della correzione? Maliziosa io, forse anche a causa del fatto che in genere, chi propone questo tipo di offerta poi precisa testualmente che non si occuperà in alcun modo della distribuzione. E così si chiude il cerchio e torniamo alla nostra rivista: ci arriva una quantità spropositata di mail di autori esordienti, seguiti da nessuno se non da loro stessi, che chiedono uno spazio, una riga, un angolo del sito. Allora perché non autopubblicarsi, stamparsi, rivolgersi a una tipografia sotto casa o usare un sito on demand se lo sbattimento lo dovete fare tutto voi? Io per me stessa non sceglierei la mezza misura: o credo tanto in me stessa da fare da sola, o aspetto che una casa editrice, ma una vera, si occupi di me.
Chiudo con due chicche d’innocenza. Leggo, in uno dei sopracitati forum che una donna invia messaggi privati su facebook offrendosi di recensire a pagamento (modici 10 euro) libri di esordienti. Anima candida, ma davvero pensi di guadagnare qualcosa dalle recensioni in rete e per giunta dagli esordienti senza che il tuo nome circoli in un battibaleno?
E questo è invece lo stralcio delizioso (e testuale) della risposta di una sedicente scrittrice: “già paghino perchè altri scrivino quei libri che poi porteranno il loro nome… “. E qui eviterei anche di tentare una battuta; però se le case editrici, quelle vere, ti scartano sempre, forse esiste un perché…