Siamo giunti alla terza cantica del capolavoro di Dante Alighieri. Il Paradiso, iniziato probabilmente nel 1316 e portato a termine negli ultimi anni di vita del poeta, reca la dedica a Cangrande della Scala, signore di Verona, come deduciamo dall’epistola XIII, scritta appunto per accompagnare l’invio dell’ultima cantica al celebre esponente della dinastia scaligera (ma secondo alcuni critici, Dante fece pervenire a Cangrande solo il canto I o comunque un numero limitato di canti).
Nuove anime, un nuovo mondo e una nuova rappresentazione della realtà si manifestano ai nostri occhi. Scompare – alle soglie del Paradiso Terrestre – Virgilio, simbolo della saggezza virtuosa e della Ragione, guida sicura e maestro, àncora di fiducia finora sempre presente accanto al nostro pellegrino. Scompare per cedere il posto a Beatrice, la Teologia, sotto la cui guida Dante sale attraverso i nove cieli che circondano la Terra; dopo averli attraversati ed essere stato interrogato su fede, speranza e carità – le virtù teologali – giunge nell’Empireo, sede dei beati. È qui che viene affidato ad un’altra figura cardine del Purgatorio, San Bernardo di Chiaravalle, che lo guiderà – attraverso la richiesta d’intercessione alla Vergine Maria – fino alla visione di Dio, in cui il Poeta contempla il mistero della Trinità in un tripudio di fede ed emozione che le parole – sarà lo stesso Dante a spiegarlo bene – non possono descrivere.
Dal punto di vista strutturale ci sono da sottolineare differenze importanti tra il Paradiso da una parte e le le cantiche dell’Inferno e del Purgatorio dall’altra. Le anime dei beati non hanno sedi differenziate, ma sono accolte tutte insieme nell’Empireo, all’interno della celebre “candida rosa” da cui godono eternamente della visione di Dio. Appaiono però a Dante nei nove cieli – che corrispondono alle loro qualità e virtù – proprio perchè il protagonista del viaggio ultraterreno possa averne un’immagine sensibile: difatti in questo caso non parliano di anime “corporee”, come era accaduto fino ad adesso; sono, più propriamente, essenze intellettuali, che trascendono la visione umana. La novità sostanziale è quindi nel modo stesso di concepire la rappresentazione.
In un tripudio di luci, colori, suoni e figure angeliche si svolge l’ultima parte del viaggio di Dante, che anche in questa cantica riesce a raggiungere vette straordinarie di poesia. Di più: possiamo affermare che il Paradiso costituisce il trionfo della scrittura dantesca, che si avvicina sempre di più, a piccoli passi, alla luce di Dio, interrogandosi però – nello stesso tempo – sui limiti della scrittura stessa, chiamata ad un compito effettivamente fuori della sua portata: parlare di Dio, della perfezione, dell’eternità. In più di una circostanza Dante riflette sulla natura umana e necessariamente parziale della scrittura, laddove il suo oggetto è l’impercrutabilità della sapienza divina.
San Tommaso, San Bonaventura e San Bernardo sono solo alcune tra le figure di spicco che incrociano il cammino del pellegrino, santi-intellettuali che dispensano perle di saggezza cristiana e sanciscono il trionfo assoluto della dottrina cristiana.
E splendidi sono gli incontri con tutti i beati: ora guardano con commozione ai momenti più semplici e puri dell’esistenza umana, ora si scagliano (nella certezza di rispecchiare la volontà di Dio) contro la corruzione dilagante nel mondo, dentro e fuori la Chiesa.
La cantica del Paradiso regge a testa altissima il confronto con le due precedenti: con i suoi elementi dottrinali, le sue nuove forme di rappresentazione e il “meraviglioso tentativo” di descrivere la Vergine Maria e addirittura Dio, essa segna di fatto il punto d’arrivo dell’impegno di Dante scrittore.