“Mi piaceva disegnare il vento, è un po’ come disegnare la libertà, la forza, la vita. Rendere visibile l’invisibile”
Emilio Salgari (Verona, 21 Agosto 1862) è stato un prolifico cacciatore di avventure ed ha stimolato la fantasia di milioni di lettori in tutto il mondo, pur non avendo mai messo il naso fuori dai confini italiani. Chi non ha mai conosciuto il fascino misterioso dell’audace Sandokan, le avventure del Corsaro nero, le astuzie del cacciatore di serpenti Tremal-Naik?
Questi e decine di altri protagonisti delle opere di Salgari hanno non solo arricchito di simboli e sentimenti generazioni di adolescenti, ma determinato in molti casi il miracolo dell’approccio alla lettura ed alla letteratura in realtà sociali e culturali poco inclini a questo piacere; ed a cento anni dalla scomparsa il suo nome evoca espressioni come libertà, fantasia, viaggio, vendetta, passione giustizia.
Ma chi è stato l’uomo Salgari?
Non si può certo dire che il tipo di vita che condusse abbia ispirato la sua fervida immaginazione. Ebbe sin da ragazzo un approccio modesto agli studi ed alle relazioni interpersonali ma una grande passione per il mare e le navi. Frequentò infatti l’istituto navale Paolo Sarpi di Venezia senza però riuscire a qualificarsi capitano anche sebbene utilizzasse questo appellativo sentendosene moralmente degno. Avido lettore, si dilettava a scrivere piccoli racconti che nel corso della sua vita avrebbero determinato la sua fonte principale di guadagno. Con alterne fortune lavorò ad alcuni giornali e riviste tra Veneto e Piemonte. Nel 1883 fu redattore de “La nuova Arena” con cui pubblicò i primi racconti che inaugureranno in Italia il ciclo dei romanzi di avventura (“La Valigia”, “La tigre della Malesia”).A trent’anni, dopo il matrimonio con l’attrice Ida Peruzzi da cui ebbe quattro figli, si trasferì a Milano per lavorare alla casa editrice Treves.
Sembrò l’inizio di una stagione fortunata per la famiglia Salgari ma soprattutto per lo scrittore. Inaspettatamente il mercato italiano dei libri di appendice e dei racconti a puntate fu folgorato da quei racconti scritti con prosa poco accurata, priva di quella ricercatezza terminologica tanto cara agli scrittori post decadenti, simbolisti, ermetici. Il nome di Salgari, ovvero i suoi tanti pseudonimi, fu posto a firma di cicli di avventure ambientate in luoghi meravigliosi ma ostracizzati dal colonialismo; storie di uomini e donne che in poco tempo alimentarono i sogni degli italiani la cui nazione era divenuta tale da meno di 50 anni ed era turbata da povertà, analfabetismo e disordine sociale; una vera e propria letteratura di evasione. Nel 1898 si trasferì con la famiglia in Piemonte stabilendosi a Torino per cercare maggiore fortuna in altre case editrici. In tre anni pubblicò cinque romanzi per Speirani: “Il tesoro del Presidente del Paraguay”, “Le novelle marinaresche di Mastro Catrame”, “Il Re della Montagna”, “Attraverso l’Atlantico in pallone”, “I naufragatori dell’Oregon”. Lavorò poi molti anni per l’editore Donath per cui pubblicò “I Pirati della Malesia”. Il ritmo delle sue pubblicazioni era frenetico e la sua vita quotidiana cadenzata da un lavoro di ricerca bibliotecaria di giorno e scrittura di notte. Ciò minò la sua vita privata al punto di non riuscire ad amministrare personalmente il suo patrimonio e seguire i figli e la moglie. Quello del padre di Sandokan fu probabilmente il primo caso di sfruttamento di copyright dal momento che le case editrici pretesero un impegno gravoso in termini di quantità di opere da consegnare, non proporzionalmente adeguato ai compensi finali che percepiva lo scrittore. Solo il 1897 portò una ventata di soddisfazione con l’onorificenza di cavaliere attribuitagli dalla Regina Margherita di Savoia perché riconobbe in Salgari il merito di “saper istruire dilettando”. Eppure la critica e gli scrittori suoi contemporanei continuarono a lasciarlo pressoché isolato. Questo abbandono intellettuale unito ad una situazione economica e patrimoniale ai limiti del disagio ed alla malattia mentale della moglie, gli procurarono uno stato depressivo che culminò nel 1911 in un gesto scioccante ma studiato come lui solo era in grado di fare.
Lasciò tre lettere brevi ma struggenti rispettivamente ai figli, ai direttori dei giornali con cui collaborava ed alle case editrici fornendo anche indicazioni che li avrebbero aiutati a ritrovare il suo corpo. Si uccise il 25 Aprile, in solitudine, recidendosi arteria giugulare e femorale in una zona collinare boschiva di Torino.
Più di duecento tra romanzi e racconti, suddivisi in diversi filoni (Ciclo indo-malese, dei caraibi, dei corsari, del far West, delle Bermude, dei due Marinai, etc.) ed una serie di libri di carattere scientifico e compilativo, sono il patrimonio dello scrittore veronese che come si diceva non vide mai fisicamente i Mari del sud, le jungle asiatiche o i regni d’oriente eppure li descrisse con una minuzia ed una scientifica precisione che ancora oggi, in piena era digitale, alimentano il desiderio di conoscenza finanche ai più assopiti studenti e lettori.
Capitan Salgari continua la sua corsa al vento!