La più breve forma di poesia esistente, il più piccolo contenitore d’immagini e suoni da racchiudere in un istante. L’Haiku è un breve componimento di tre versi di 5-7-5 sillabe, e prende il nome dallo scrittore giapponese Masaoka Shiki, che lo definì alla fine del XIX secolo. In ogni haiku è presente un elemento stagionale, ricreato anche attraverso simboli, ed è considerato il centro tematico della maggior parte degli haiku, nucleo da cui si muove tutto il resto. Un’influenza giapponese in Europa nasce con il giapponismo, corrente artistica che porta il mondo giapponese su altre frontiere dopo un isolamento secolare. In Italia oggi esiste la “Associazione italiana Amici dello Haiku”. Un tipo di componimento apparentemente semplice, senza titolo e privo di orpelli lessicali e figure retoriche; di primo impatto si figura come un genere descrittivo, che disegna il movimento o il profumo di un istante di vita vissuto e scrutato dagli occhi di un poeta che appare passivo:
in mezzo al campo
il canto libero
dell’allodola
(Matsuo Basho)
Tutt’altro che descrittiva invece appare l’arte dello scrittore di haiku. Infatti, secondo Elena Dal Pra (autrice dell’Introduzione nel libro “Haiku” Oscar Mondadori 1998), l’haiku non descrive mai; il suo intento è quello di suscitare nei lettori sensazioni pari a quelle vissute dagli scrittori in un preciso momento, che viene raccontato come fosse un’apparizione voluta da qualcosa di ignoto che spinge il poeta a lasciare una traccia del suo vissuto in quell’istante. Sempre nell’introduzione Elena Dal Pra dice “lo haiku è lo spazio più piccolo di una conchiglia in cui sentiamo il rumore del mare”.
Torno a vederli
E nella sera sono già frutti
I fiori di ciliegio
(Yosa Buson)
L’haiku studia, vive e respira una natura infinita e infinitamente divisibile. Studia l’armonia del piccolo insetto con la grande montagna, e da quest’armonia estrapola tre note, o a volte una sola, e le scandisce con il ritmo delle sillabe. Lo scrittore di haiku vive in uno spazio strettissimo nel quale può giocare quel tanto che basta per rendersi conto che è possibile; vuol far conoscere ai lettori il suo gioco, un gioco che spalanca finestre infinite, interne ed esterne a noi, in vista di un mondo nei suoi magici e suggestivi movimenti.
Vento di primavera:
sui libri illustrati nella bottega
i fermacarte
(Takai Kito)
Non si tratta di una poesia estremamente riflessiva, non ci sono idee, solo realtà, oggetti, elementi quotidiani riportati sulla carta non per evocare interiorità profondissime e taciute, ma per omaggiare il tempo con i suoi colori, le sue sfumature e i suoi respiri, tutto ciò che è racchiuso nella parola “atmosfera”. Sensazioni di attesa, pause ricreate nella quotidianità per fermare un brivido con il potere di un minuscolo tratto; parole senza significato che raccontano un’emozione nell’incomprensibile lingua delle nostre vene.
Numerosissimi sono gli autori di haiku in Giappone, ai quali si sono poi ispirati anche autori più vicini a noi, che hanno sfruttato il vincolo della brevità per ricreare parole improvvise come frustate rapide per colpire il lettore svelando la poesia che è nascosta in ogni contingenza.