Le battaglie politiche di Antonio Gramsci, nel passaggio tra la guerra mondiale e i conseguenti conflitti sociali, centrate sulla fondazione del Partito Comunista, l’Internazionale guidata dai bolscevichi sovietici, la coraggiosa resistenza al fascismo, la repressione e la lunga odissea nelle carceri del regime, lo hanno reso una delle più rilevanti e significative espressioni intellettuali del ‘900 italiano.
Dopo due anni dall’arresto, Gramsci iniziò nel carcere di Turi, l’8 febbraio del 1929, la stesura di migliaia di appunti con l’intento di formare un lavoro vasto, complesso e di ampio respiro, ma che verrà pubblicato solo una decina d’anni dopo la sua morte, col titolo generico Quaderni dal carcere, tra il ’48 e il ’51.
Il pensiero di Gramsci rappresenta una tappa fondamentale del marxismo occidentale. La sua forza e la sua originalità nascono dal tentativo di rispondere alla sconfitta subita in Italia dal proletariato. In questo svolge un ruolo importante la capacità della classe operaia di assumere su di sé la coscienza e la guida del processo storico, di impossessarsi del mondo rovesciando i rapporti di classe esistenti.
Il nodo centrale di tutta la riflessione gramsciana sulla storia d’Italia è costituito dal problema degli intellettuali, in un’ottica marxista e comunista. Egli vede negli intellettuali i grandi mediatori di cultura e di consenso sociale, che esprimono i valori più diffusi di una società. La loro funzione, però, è tanto più incisiva quanto più essi sono una componente organica di una classe sociale, ovvero espressione diretta e immediata delle sue esigenze. La classe operaia, quindi, deve crearsi al suo interno un blocco di intellettuali che sappiano portare al livello più alto la cultura proletaria, e imporla come il punto più avanzato della coscienza umana. Rispetto ai paesi più moderni, gli intellettuali italiani si sono contraddistinti in una singolare chiusura su sé stessi come casta autonoma, separata da ogni classe. Per tradizione storica, secondo Gramsci, è dal Risorgimento (che non ha mai appoggiato una moderna cultura borghese e nazional-popolare) che l’intellettuale italiano non si è mai riconosciuto come parte di un organo sociale, ma solo in maniera astratta, in altri termini cosmopolita, cioè non ha mai riconosciuto il suo legame con la realtà sociale del proprio paese, e ciò spiega la debolezza di una cultura popolare italiana e la netta separazione tra intellettuali e popolo, la scarsa divulgazione e i limiti del processo unitario della nazione.
I Quaderni approfondiscono il rapporto tra cultura e divulgazione, l’importanza del folclore e del mito (sintesi di coscienza e azione), la letteratura popolare, il giornalismo e la cultura di massa in generale. Il sapere si rivela uno strumento determinante di dominio politico, è la sua rilevanza deve tener conto dello stretto e complicato rapporto tra Stato e società civile. L’opera è ricca di analisi che riguardano la natura di questo rapporto, dai meccanismi di lavoro e di produzione, alle forme di governo italiano e internazionale.
Giunti all’egemonia della classe di cui essi sono espressione, l’azione degli intellettuali deve mirare alla creazione di un nuovo blocco storico, costituito dalla classe operaia del Nord e i contadini poveri del Sud, col consenso dei ceti medi e piccolo-borghesi, in perfetta contraddizione col blocco conservatore degli intellettuali meridionali, di cui Croce era la migliore espressione ma la cui opera ha realizzato una mediazione solo tra classi piccolo-borghesi e contadine, pagando il prezzo di una totale subalternità del Sud allo sviluppo industriale del Nord.
Secondo l’insegnamento di Lenin, nell’organizzare gli intellettuali e il nuovo blocco storico ha un ruolo decisivo il partito, massima forma partecipativa e a cui spetta il ruolo di accelerare i processi storici di aggregazione. Gramsci, attraverso una lettura originale dell’opera di Machiavelli, assegna al partito un ruolo mitico, definendolo un moderno principe volto a suscitare consensi e a imporre la sua capacità ordinatrice.
Oggi si ha l’impressione che il pensiero di Gramsci non sia più all’altezza dell’attuale comunicazione, basata sui media e sulla manipolazione dell’informazione, ma la sua grandezza resta intatta per la forza delle sue battaglie politiche, per la sua acuta e profonda metodologia di ricerca, per la sua ambiziosa analisi sociale e la grande sensibilità ai fattori culturali e ai processi intellettuali che hanno influito in modo determinante sulla società italiana.