Tornerò in Brasile sicuramente nel 2014, per i mondiali. Verrà con me mio figlio Santiago, al suo debutto nella terra del padre. Racconterò la Coppa del Mondo per la mia televisione e per il settimanale “Gli Altri” e rivedrò i miei parenti, i miei amici, i miei luoghi. San Paolo, dove sono nato, e poi il Minas Gerais, dove tutto cominciò alla fine dell’Ottocento con il primo sbarco di un Pastorin, il mio bisnonno Natale, di Santa Maria di Sala, in provincia di Venezia. I miei emigrarono subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1951, nella metropoli paulistana che prometteva lavoro e futuro. Io sono nato nel ’55, in Rua Nossa Senhora de Lourdes, quartiere Cambuci.
Il ritorno in Italia di papà e mamma, e con tre figli, è datato 1961: fatale fu Italia ’61, il Boom Economico, l’offerta fatta a mio padre da una ditta di Grugliasco per progettare mobili nuovi, moderni, alla portata di tutti. Non fu facile lasciare il Brasile: lì tanti sogni si sono realizzati, ma sono anche morti due miei fratellini gemelli, nel 1953, Helio e Gracia Maria. Lì i miei sono riusciti a soffocare la nostalgia e a costruire, per loro e per noi, un domani, dopo le bombe e le macerie, la loro Verona ridotta in polvere e disperazione.
A lungo, “Brasile” per me era lo stupore della prima infanzia, i giochi sulla strada, quel meraviglioso Natale con solo due doni: un cavallino di legno, fatto dal mio papà con il compensato, e un camioncino di plastica azzurro. Di quando eravamo, insomma, per dirla con l’Hemingway parigino, “più poveri e più felici”.
I miei non sono più ritornati per non farsi venir la voglia di restare, questa volta per sempre. Io ho rivisto la mia nazione natale dopo 23 anni, quando il mio direttore mi mandò in Brasile per lavoro, per l’arrivo, soprattutto, di Zico all’Udinese (ma anche per intervistare Socrates e l’ex portiere campione del mondo Gilmar, a quell’epoca proprietario di un’autoconcessionaria). Arrivai a San Paolo con il cuore e la mente gonfi di emozioni, di vibrazioni. Mi ospitarono degli amici di famiglia, Myrna e Tuta. Mi portò in giro per la metropoli Gerardo Landulfo, un giornalista nato in Italia, ma poi finito a Sorocaba.
San Paolo, ovviamente, era cambiata. Nei miei ricordi di bimbo non era così sterminata, immensa, dominata dai grattacieli, ma anche ferita dalle favelas, dai poveri costretti a vivere ai margini, dentro scatole di cartone, vittime dei predoni della notte.
Decisi di andare a vedere la casa dove sono nato.
-Gerardo, è una via stretta, con una chiesa, case basse da una parte e dall’altra… Giocavo a pallone e con l’aquilone, con bambini provenienti da ogni angolo del mondo… C’erano i miei nonni, i miei cugini, i miei zii… C’era il cane e c’era la capretta…
Arrivammo a Rua Nossa Senhora de Lourdes, in una calda mattinata. Una luce trasparente. Un dolcissimo silenzio.
-Mah… La villetta mi sembra questa… Ma non ricordo questo muro, non c’era ai tempi miei…
Mi voltai: dall’altra parte della strada, una signora anziana ci osservava da dietro un cancello.
Mi avvicinai, dicendo in portoghese:
-Scusi signora… Tanti anni fa, abitavo qui, in quella casetta… Lei c’era negli Anni Cinquanta? Io sono Darwin. Mia mamma si chiama Leda, mio papà Elio…
La signora sorrise:
-E Lamberto, come sta?
Lamberto, mio fratello maggiore.
La commozione fu enorme, ci abbracciammo:
-Sì, Darwin: era la tua casa! Quel muretto è stato alzato dai proprietari di adesso, sono coreani, gentilissimi… Vieni, andiamo a trovarli…
Così, rientrai nella mia casa, ventitrè anni dopo. Provai un senso di vertigine, rividi tutto…
Uscii, con un nodo alla gola. E le lacrime agli occhi. Salutai la signora, promettendo di ritornare.
Ho deciso quando: nel 2014 per i mondiali, con mio figlio Santiago.