La trama del tuo ultimo libro mi ha fatto pensare a una spirale, quello che sembrava un inizio coincideva con una fine e viceversa. Come hai costruito la storia, i personaggi e lo sviluppo narrativo?
Sì, la storia è divisa in tre parti che si alternano, in modo che la fine di una delle parti è, in realtà, l’inizio dell’altra. Ma è un libro sulla memoria e la memoria è così, frammentata, imperfetta, prevede molti collegamenti. La mia prima idea era quella di scrivere un libro sugli antifranchisti che negli anni 1930-1940 oltrepassavano la frontiera fra Portogallo e Galizia. Mio nonno aveva vissuto da vicino queste storie e quando ero piccolo me le raccontava. Dopo qualche anno, scoprii per caso un libro con varie testimonianze sull’argomento e vi ritrovai le storie di mio nonno. Tuttavia, c’erano delle differenze, alcune delle quali significative. Per esempio, un uomo che mio nonno giurò che fosse morto, secondo alcune persone intervistate nel libro, era riuscito a sopravvivere. Ciò che più mi interessava non era tanto la ricerca della verità, piuttosto che esistevano almeno due verità: quella di mio nonno e quella del libro. Fu così che nacquero il personaggio di Nicolau Manuel e del sarto. La figura di Valdemar comparse più tardi, quando mi accorsi che avevo bisogno di un personaggio che guardasse il passato a partire da oggi e, ancora di più, che si sentisse in qualche modo segnato da questo passato.
A chi giovane non lo è più da parecchio Valdemar potrebbe apparire un ragazzino strano e sui generis, forse invece è davvero normale perché sempre fuori luogo e fuori contesto. Il ritratto che fai è a tal punto reale da essere più vero che verosimile. A chi ti sei ispirato?
Siamo tutti strani durante l’adolescenza. È un periodo della vita che mi interessa molto. È un periodo di scoperta, dove tutto comincia a delinearsi: il carattere, i valori, gli ideali, il rapporto con il mondo, con gli altri, con noi stessi, con il futuro. E durante questa fase è normale oltrepassare alcuni limiti. Anzi, non è possibile intraprendere questo cammino senza oltrepassarli. Valdemar non sono io, anche se ricordo di avere avuto gli stessi istinti, le stesse paure, le stesse passioni che lui sente.
Verità e menzogna sembrano molto netti per Valdemar, ed è forse proprio nel momento in cui scopre le sfumature tra i due concetti che diventa adulto. L’età adulta è solo sfumature e compromessi e mai una scelta decisa?
Sì, è vero. Quando siamo adulti capiamo meglio le sfumature del mondo e della vita. Tuttavia, credo che quasi tutti siano alla costante ricerca di certezze, di una vita lineare e, soprattutto, di un passato. Temendo sempre di non ricordare qualcosa, costruiamo la nostra personale verità riguardo il passato e ci manteniamo fedeli ad essa fino alla fine.
Malgrado il tema forte e la trama complessa il tuo libro conserva una freschezza e un senso dell’umorismo che rendono la lettura un’esperienza piacevolissima. Si può raccontare la vita come una tragicommedia?
Dipende tutto dal punto di vista. Lo stesso avvenimento può essere letto in infiniti modi. Dipende da chi lo vive, di chi lo riporta, di chi lo ricorda, dal momento in cui viene vissuto e viene raccontato. È questo che mi interessa come scrittore. E, in un romanzo sulla memoria, sulla ricerca della verità, mi sembrava essenziale indagare tutto ciò. Per questo motivo alcuni episodi tragici ci sembrano narrati in un tono più comico.
I tuoi libri, come quelli di molti altri autori portoghesi, hanno spesso un punto in comune: la descrizione, in modi diversi e con diversa intensità, della dittatura. È solo una questione temporale o le cicatrici, come quelle di Nicolau, sono ancora troppo visibili?
La dittatura in Portogallo durò quasi mezzo secolo e si concluse solo trentanove anni fa. Non è possibile scrivere un libro sulla memoria, nel quale un ragazzo di quindici anni dei giorni nostri guarda al passato, senza parlare di quel periodo. I nostri genitori lo hanno vissuto, i nostri nonni lo hanno vissuto. Molti ancora oggi guardano indietro, a quegli anni, con paura. E persino coloro che si sentono in pace con l’argomento non possono semplicemente cancellare dalla memoria venti, trenta, quarant’anni delle loro vite. Tutto ciò fa parte di noi in quanto popolo, in quanto Paese. Non deve essere una ferita aperta, e io penso che non lo sia, ma non è possibile parlare del popolo portoghese di oggi dimenticando quasi mezzo secolo di dittatura.
E tu, così giovane, che cicatrici porti addosso di quel periodo?
Personalmente, non porto addosso cicatrici di quel periodo. Nessuno nella mia famiglia venne perseguitato o imprigionato. Ma mi duole molto costatare lo stato in cui la nostra istruzione e la nostra cultura uscirono dalla dittatura. Ancora oggi, dopo quasi quarant’anni, stiamo cercando di recuperare.
Ogni scrittore portoghese deve probabilmente confrontarsi con la figura mastodontica di Pessoa. Lo consideri un retaggio inevitabile come quello della dittatura? Mito culturale, poeta poliedrico sino al limite della spersonalizzazione, su Pessoa è stato scritto di tutto, eppure la sua preziosa eredità letteraria è stata solo ancora in piccolissima parte esplorata. L’eredità pessoana per ogni scrittore portoghese è sicuramente pesante, un gigante con cui non ci si può non confrontare. Allo stesso tempo, Pessoa è tanto presente nel panorama portoghese da sentire la necessità di distanziarsene. Ti riconosci nella figura di Pessoa (e, se sì, in quale particolarissimo frangente). Quali sono le tue influenze letterarie (del panorama portoghese e non)?
Tutti i Paesi hanno i loro colossi letterari. Tuttavia non penso che i nuovi autori quando scrivono sentano sulle spalle il peso di queste figure. Esiste rispetto e ammirazione, chiaro, e, nel mio caso, una predisposizione naturale a imparare attraverso la lettura quello che questi geni ci lasciarono. La verità è che per me Pessoa è sempre stato un punto di riferimento, ma non ha influito sulla mia scrittura. Per molto tempo ho esplorato la letteratura sud-americana e ho cercato di importarne le caratteristiche all’interno del contesto portoghese. Oggi leggo molti romanzi di autori nordamericani e inglesi, soprattutto emergenti. Per quel che riguarda il Portogallo ammiro José Saramago per il modo in cui racconta le storie.
Uno scrittore è per forza di cose un lettore, una persona che ama storie e parole: tu che lettore sei?
Come lettori siamo sempre in costante mutamento. Io amo soprattutto le storie. Questo almeno è sempre stato una costante nelle mie letture. Ma penso che ciò che davvero cerco in un libro siano le domande. Più che le risposte, voglio domande: sul mondo, sulla vita, su me stesso. Domande sulle quali rifletto una volta terminata la lettura e alle quali cerco di dare da solo una risposta. E lo stesso quando scrivo. Per me la letteratura serve soprattutto per pensare.