Letteratu.it

Disagio e disperazione fuori dall’ordinario

Spesso il male di vivere ho incontrato:

era il rivo strozzato che gorgoglia,

era l’incartocciarsi della fogliariarsa,

era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigioche schiude la divina Indifferenza:

era la statua nella sonnolenzadel meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

Eugenio Montale, in questa come in tante delle liriche contenute in “Ossi di Seppia” (1925), ha espresso con delicata quanto decisa espressione il male di vivere che lo aveva afferrato vorticosamente. Il collegamento di “Spesso il male di vivere ho incontrato” all’attentato del 28 Aprile nella piazza antistante Palazzo Chigi è stato quasi automatico, eppure tanti altri gli interrogativi e le reazioni che da qualche giorno si stanno avvicendando prepotentemente. A lasciare perplessi, dispiaciuti, l’immagine di due corpi distesi sui sanpietrini: due Carabinieri colpevoli solo di onorare l’arma ed il proprio lavoro ed un terzo corpo, bloccato, accerchiato, con la disperazione dipinta in volto. Follia, dolore, crisi di identità, difficoltà economiche si intrecciano come un maglione di lana infeltrito senza che si possa distendere o separare un sentimento dall’altro per meglio spiegare “perché”.
Una risposta forse non c’è, non può esserci  di fronte alla violenza che non è affatto un antidoto o la guarigione da ciò che ci fa stare male. Un forte stress ed una esistenza borderline possono trasformare davvero una persona normale in omicida? Lascerei la risposta alla moderna psichiatria ed a più eminenti dissertazioni di tipo sociologico ma, paradossalmente, l’evento di domenica mi ha portato a pensare oltre alla lezione di Montale, ad alcuni personaggi di letture del mio passato. Il primo è Mattia Pascal, che non ha certo bisogno di presentazioni, il secondo Jean Floressas Des Esseintes , protagonista del romanzo “A ritroso” del francese Joris Karl Huysmans, il terzo è Martin Eden protagonista dell’omonimo romanzo di Jack London. Perché questi personaggi?
Semplice: il loro percorso esistenziale è stato caratterizzato dalla incapacità di contenere ed affrontare la propria vita tra le pieghe della società  di cui non si erano mai realmente adattati o interessati.

Mattia Pascal decide di sparire, cambiare identità e, nel suo doppio Adriano, fa morire Mattia  perché così crede di esorcizzare  il dolore ed il senso di quella sua  esistenza.

Sparisce per riscrivere se stesso. Jean, nonostante goda di un vitalizio che gli permette una vita agiata, mal sopporta la società francese di fine “800 e per questo, colpito da una forte nevrosi, decide di andare “a ritroso” scegliendo una vita eremitica, lontana da tutto e da tutti, cadenzata soltanto dai suoi piaceri che escludono o limitano i contatti con altri esseri umani.

Martin nella sua travagliata condizione di marinaio squattrinato cerca con tutte le sue forze di elevarsi e dare una svolta alla sua vita. Ci riesce dopo peripezie e sofferenza ma il successo e la ricchezza lo fanno presto piombare in un malessere che non gli darà scampo.

Ora, quale riferimento possono avere queste storie con il gesto di domenica 28 Aprile? Nulla, apparentemente nulla, anche perché da un lato abbiamo il mondo fantastico di uno scrittore e dall’altro la immutabile realtà della cronaca. Tuttavia hanno in comune la tragica consapevolezza dell’uomo, della sua enorme fragilità nei confronti della malattia dell’anima la cui cura portentosa non è stata ancora scoperta o inventata.