Anche con la seconda cantica della Divina Commedia, il suo autore riesce a raggiungere picchi artistici straordinari. Come accaduto con l’Inferno, e come accadrà in seguito con il Paradiso, Dante costruisce in ogni minimo particolare la struttura fisica e morale del regno ultraterreno che lo vede protagonista nel lungo pellegrinaggio, alla ricerca di se stesso e di Dio. Sullo zoccolo duro della fede e del dogma cristiano, delinea – anche in questo caso – un paesaggio che sarebbe rimasto impresso per secoli, e tutt’oggi perdura, nel nostro immaginario collettivo.
Dante e Virgilio attraversano la famosa natural burella, il lungo condotto grazie al quale i due viandanti fuoriescono dall’Inferno verso la superficie. Dal punto di vista meramente fisico e geografico, ci troviamo nell’emisfero opposto: i protagonisti del viaggio, infatti, attraversato lo spaventoso regno del Demonio in tutta la sua profondità, spuntano dalla parte opposta, agli antipodi di Gerusalemme, dove su un’isola nel pieno dell’Oceano, si erge la montagna del Purgatorio.
Anti-Purgatorio, Purgatorio e Paradiso Terrestre: è questa la suddivisione esatta che Dante effettua nel suo capolavoro. Nel primo il Poeta colloca due diversi gruppi di anime: coloro che sono morti con la condanna della Chiesa – ossia gli scomunicati – e coloro che si sono pentiti soltanto in fin di vita. Solo dopo una lunga attesa saranno ammessi nel Purgatorio vero e proprio, il monte piramidale diviso in sette gironi, in ognuno dei quali è punito un peccato capitale. I peccati sono determinati da un cattivo utilizzo dell’amore intellettuale – come spiegherà lo stesso Dante nel canto XVII – e procedono dal basso verso l’alto, ma in ordine di gravità decrescente: sono, rispettivamente, la superbia, l’invidia, l’iracondia, l’accidia, l’avarizia, il peccato di gola e la lussuria. I primi tre, di gravità dunque maggiore, nascono da un’amore che ha il proprio oggetto nel male; l’accidia è determinata, invece, dalla debolezza dell’amore stesso, mentre negli ultimi tre, esso si rivolge a beni ed obiettivi terreni.
Al culmine dell’ascesa Dante giunge al Paradiso Terrestre: è in questo luogo che si avvicendano Virgilio e Beatrice. Il primo scompare, la seconda appare in tutta la sua bellezza e regalità. Beatrice dialoga con Dante, lo interroga, talvolta lo rimpovera; il pellegrino assiste ad una processione che sintetizza allegoricamente la storia dell’uomo e della Chiesa; infine, dopo un’immersione purificatrice nei due fiumi Lete ed Eunoè, si trova predisposto ad accedere al regno della beatitudine eterna.
Anche nel Purgatorio vige la legge del contrappasso (anche se le pene sono certamente più sopportabili). Ma le analogie con l’Inferno si fermano qui. In questo regno di transizione i peccatori non dimorano in un solo girone, ma li attraversano, e il passaggio è sempre scandito da un preciso rituale: la cancellazione, da parte di un angelo, del segno del peccato punito nel girone da cui l’anima esce per entrare in quello successivo. Dante stesso, all’inizio dell’ascesa, riceve sulla fronte i segni di sette P – che rappresentano naturalmente i sette peccati capitali – poi cancellati di volta in volta al superamento di ogni girone. E ancora, muta profondamente il concetto di tempo: se nel regno di Satana il castigo è eterno e non lascia speranza, nel Purgatorio i peccatori vivono nell’attesa, seppur lunga, ma sempre più vicina, della beatitudine: scalano il monte, fino ad arrivare in cima, per essere poi ammessi a godere della luce di Dio. La scalata avviene solo di giorno, alla luce del sole.
La novità sostanziale riguarda, però, l’indiscusso protagonista del viaggio: se nell’Inferno Dante è ben conscio che il destino che lo attende sarà diverso, adesso è co-partecipe in pieno di questo percorso. Dante sa di compiere, già in vita e dentro di sè, lo stesso percorso di espiazione delle anime che incontra. E questo porta, inevitabilmente, ad una condivisione quanto mai intensa, sorprendente nella sua bellezza.