Cosa unisce due vite che scorrono parallele a oltre mezzo secolo di distanza, due persone, un uomo e una donna, lui americano, lei inglese, che non si sono mai visti né conosciuti né incontrati?
Michael Cunningham e Virginia Woolf sono due estranei. Non si conoscono, né mai avrebbero potuto conoscersi: lei è morta, suicida, il 28 marzo del 1941, a Rodmell, piccolo villaggio nel Sussex, dove spesso si rifugiava nella speranza (vana) di seminare i suoi demoni, esattamente undici anni prima che lui nascesse, il 6 novembre del 1952, a Cincinnati, nell’Ohio.
Due esistenze apparentemente slacciate, distanti come molte lo sono, destinate a non incontrarsi eppure legate, per uno scherzo del Fato, strettamente l’una all’altra. Virginia non lo sa, non può saperlo; ma la sua vita (la sua storia, i suoi scritti) ha lasciato il segno di un profondo innesto in quella di un uomo che, all’epoca in cui lei lasciava questo mondo, non esisteva ancora, forse nemmeno nei pensieri, nemmeno nella sfera di un possibile futuro.
Michael incontra Virginia all’età di 15 anni. In verità, sarebbe più esatto dire che Michael incontra Clarissa. Clarissa Dalloway, uno dei personaggi più amati nati dalla fantasia della scrittrice inglese, consegnata all’eternità dalla sua penna vibrante. L’incontro avviene in un giorno qualunque. Avrebbe potuto essere un “martedì di giugno”, quello famoso che Virginia Woolf ha immortalato ne “La signora Dalloway”. Come lui stesso racconta, si tratta di un incontro fortuito, dettato da motivazioni adolescenziali, seppur nobili: l’amore, o meglio l’infatuazione per una ragazza, il goffo tentativo di far colpo su di lei ostentando la lettura del romanzo che lei leggeva in quei giorni. “La signora Dalloway”.
Per sua stessa ammissione, il quindicenne Michael ci capì poco; quello che gli rimase della sua concitata lettura fu l’impronta di un qualcosa sulla sabbia, il germe di un amore destinato a durare tutta una vita. Michael Cunningham incontra Virginia Woolf e si innamora di lei. O meglio, Michael Cunningham incontra Virginia Woolf, e si innamora, attraverso di lei, della letteratura. Una letteratura che da quelle pagine parla in sordina, lambendo, pudica, incerta, il delicato universo femminile, il gineceo vittoriano, regno della donna dell’alta borghesia inglese, matrona delle feste e “perfetta padrona di casa”, quale Virginia Woolf (controversamente) sentiva di essere, e quale Clarissa Dalloway (meno controversamente) era.
Un mondo che a Michael Cunningham ricorda quello della sua infanzia, trascorsa in California con una madre che avrebbe potuto benissimo essere un personaggio inventato da Virginia Woolf.
Mia madre era una casalinga, il tipo di donna che Woolf chiamava “l’angelo della casa” […] Mi era sempre sembrata una regina delle Amazzoni, catturata e condotta in un sobborgo, dove era stata costretta a vivere in un recinto che non poteva contenerla. Teneva a bada le sue frustrazioni lasciandosi ossessionare da ogni dettaglio immaginabile. Avrebbe potuto trascorrere una mezza giornata a scegliere i tovaglioli da cocktail per una festa.
Una madre che, proprio come racconta ne “Le ore”, riscrittura in chiave moderna del romanzo che per primo segnò la nascita letteraria di Michael Cunningham, deve avere fortemente influenzato le scelte di suo figlio.
[…] una mattina, seduto al mio computer, ho concesso alla mia mente di vagare, chiedendosi perché Woolf significasse tanto per me […] OK, certo, ho amato la signora Dalloway, ma ogni scrittore ha amato un certo numero di libri, e pochi di loro hanno sentito il bisogno di scrivere libri nuovi sui più grandi […]. Qual era, allora, la questione per me? Seduto al mio computer, ho immaginato e visto Clarissa Dalloway, e Woolf, la sua creatrice, in piedi dietro di lei. E poi, spontaneamente, ho immaginato mia madre in piedi dietro Woolf.
Lui, omosessuale dichiarato, nevrotico accumulatore di oggetti, amante dell’arte contemporanea e con il sogno infantile di diventare pittore. Lei, donna tormentata e sessualmente frigida, affetta da episodi depressivi e amante delle feste, attenta osservatrice della psiche umana. Così Michael Cunningham e Virginia Woolf si incontrano, grazie alla lettura di una ignara liceale e all’ossessione della madre di lui per la pulizia e i tovaglioli da cocktail.
La risposta alla domanda iniziale, cosa unisce due vite che scorrono parallele, a oltre mezzo secolo di distanza, due persone, un uomo e una donna, lui americano, lei inglese, che non si sono mai visti, né conosciuti, né incontrati, è una sola.
[…] il desiderio di realizzare un ideale, di toccare il divino, di creare qualcosa di più grande di quanto la mano e la mente umana possano creare, non importa quanto dotate di talento quelle mani e quelle menti siano.
In una parola: la letteratura.