Qualche volta, aprendo il portagioie, scopro che le catenine si sono inspiegabilmente intrecciate tra loro formando un groviglio scioglibile solo con tanta pazienza e, soprattutto, senza chiedersi come si sia formato al chiuso di una scatola: sarebbe inutile. La vita, composta da fili che, come quelli delle collane, si intrecciano senza spiegazioni che siano ogni volta sufficientemente razionali, è però in movimento, in fluire costante, talvolta veloce altre lento. Immaginatelo così questo libro, delle catenine che si muovono come serpenti e che si intrecciano tra loro e voi lì a cercare di trovarne capo e coda.
La prima annotazione da fare parlando di “Che parlino le pietre” di David Machado è proprio questa: non avrete tempo per riposare soffermandovi su questo o quel particolare, questa o quella catenina; ogni singolo rigo vi racconterà qualcosa e vi terrà concentrati e vogliosi mentre la storia si dipana. Protagonista atipico di questo splendido romanzo è Valdemar, ragazzino adolescente, problematico e grasso, voce narrante ma allo stesso tempo attore di una storia che si sviluppa su tre piani temporali differenti tutti raccontati da Valdemar. Il primo dei tre è quello del passato familiare più lontano, quello della dittatura di Salazar, ferita mai rimarginata in Portogallo, forse perché troppo poco risalente e ancora in fase di guarigione, e su questo sfondo si svolge e devia e si perde la storia di Nicolau Manuel, nonno paterno di Valdemar, incarcerato, per motivi politici a lui pressoché sconosciuti, il giorno in cui avrebbe dovuto sposarsi con Graça dos Penedo. Questo primo filo narrativo, intrecciandosi con gli altri, narra la tormentata vita e le vicissitudini di Nicolau, i malintesi, le torture, l’amore negato, tutto per bocca di Valdemar.
Il secondo piano temporale è quello di un passato più recente in cui Nicolau, malgrado i grossi problemi con il figlio, si trasferisce a vivere in città, nello studio della casa di Valdemar e i suoi genitori. Insoddisfatto, infelice e insofferente, Nicolau racconta le peripezie della sua vita ad un Valdemar bambino e alla sua amichetta Alice, mettendoli a parte del suo triste destino e facendo conoscere loro attraverso il suo racconto il suo nemico, uomo del quale sta attendendo la morte, colui che ha sposato la sua Graça.
Infine il presente, quello in cui il nonno è un uomo oramai arresosi e dedito solo alle telenovelas, in cui Valdemar è adulto e bambino insieme, in cui Alice ha serissimi disturbi affettivi e alimentari tanto da amare e tradire continuamente Valdemar, che pure non può fare a meno di lei. I rapporti con i genitori e con la scuola sono difficili e Valdemar vuole aiutare suo nonno, ristabilire la verità, soprattutto con Graça e forse anche agli occhi di suo padre.
Di Valdemar non ci si può non invaghire e non si riesce, o quantomeno io non ci sono riuscita, a non immedesimarsi. Valdemar è un ragazzo fuori luogo che ascolta l’heavy metal, Metallica, Pantera, Slipknot arrabbiati a fare da sottofondo, ed è troppo grasso, comincia a fare sesso ma poi sente dolorosa la mancanza della mamma sempre fuori per lavoro, ama disperatamente eppure conserva la freschezza e la tenerezza di un amore giovane. Ma sopra ogni cosa Valdemar vuole la verità, un finale giusto e salvifico, spazzare via le menzogne come solo un ragazzo che non conosce ancora il compromesso può desiderare. A 15 anni è tutto bianco o nero, la vita adulta comincia al sorgere delle zone d’ombra in fondo. Una scrittura originale e veloce come la trama: rimpiangerete di averlo finito troppo in fretta, o forse tendo a generalizzare perché io l’ho ingoiato tuffandomi con Valdemar alla ricerca del vero, facendomi bastare come lui il verosimile per scegliere di credere alla giustizia.
Io avevo scelto il grunge, portavo enormi camicie di flanella e credevo che mai avrei trovato un posto del mondo e, forse, ma solo forse, Valdemar mi ha fatto provare un pizzico di nostalgia per uno dei periodi più complicati della vita di ognuno di noi, quello in cui la verità ha una faccia sola, quello in cui l’unica cosa in cui si crede fermamente è che ciò in cui si crede sia giusto.
Mi manca, depressione e flanella a parte.