Col suo primo romanzo, finalista al premio Strega, Ilaria Beltramme compie un’interessante sintesi tra le esigenze di dar vita ad una storia di finzione e, nello stesso tempo, di rendere conto di un periodo storico e di una figura centrale nella storia del Rinascimento oltre che di un contesto urbanistico di cui l’autrice è ottima e appassionata conoscente.
E’ a Roma esattamente che si concentrano i fatti oggetto di questo “La società segreta degli eretici” dove, nel giugno del 1889, giunge il giovane Prospero, in occasione dell’inaugurazione della statua di Giordano Bruno a Campo de’ Fiori. A questo avvenimento sono legati i suoi entusiasmi per l’epoca che sta vivendo, quella postunitaria, che ha visto scalzare il potere temporale dei papi che avevano decretato la morte per eresia del nolano, respingendo la sua philosophia naturalis e tutta la profonda e rivoluzionaria comprensione del mondo di cui si era fatto portatore insieme ad altri filosofi del suo tempo.
Ma la mera cronaca di questo arrivo assume un carattere sinistro non appena il ragazzo mette piede nella decadente pensione, sita nei pressi del Pantheon, che ha scelto, complici i suoi magri averi, per risiedere nella città eterna. I proprietari infatti sono ambigue figure: madame Sophie, una “cariatide di età indefinibile”; suo figlio Orazio, rinsecchito e con un occhio offeso; un uomo di colore dalla enorme stazza e sempre silenzioso; la gatta Mimì, inseparabile ombra della proprietaria.
E non meno ambigue sono le stanze della pensione, popolate di strane raffigurazioni evocanti personaggi allegorici ed antiche divinità e che iniziano un percorso di destabilizzazione nell’animo del giovane, conducendolo ad indagare la casa con spirito inquieto.
Farà così la conoscenza dell’imponente biblioteca, segreta custode di un sapere antico, che unisce filosofia e scienza, occultismo e astronomia, magia ed esoterismo. Ma a quella biblioteca manca un libro, legato in qualche modo alla figura di quell’eretico che, quasi trecento anni prima, era stato portato al rogo dall’Inquisizione e che i suoi seguaci, ardenti propugnatori di un volto più dinamico ed energetico della realtà naturale rispetto alla rigida visione della Chiesa, non avevano potuto salvare.
Ma la storia può forse essere cambiata…
Il resoconto del romanzo si ferma qui, onde non togliere il piacere di una lettura avvincente sebbene, a tratti, caratterizzata da una certa ingenuità nella costruzione dell’intreccio narrativo, con cui l’autrice paga lo scotto dell’esordiente.
Ma, al di là del carattere avventuroso, il libro costituisce anche l’occasione per riconsiderare alcuni aspetti del pensiero di Giordano Bruno, di indagare sul concetto di conoscenza, su come essa non sia solo di natura meramente razionale, ma sia debitrice anche al cuore per il raggiungimento della più complessa sapienza e la cui indagine deve essere condotta in piena autonomia dai poteri costituiti.