In un’epoca in cui tutti ci riscopriamo fotografi amatoriali delle nostre scorpacciate culinarie, in un ristorante chic, al pub all’angolo o a casa della nonna, siamo tutti eredi di chi, prima di noi, ha fatto del cibo il protagonista di racconti, romanzi, opere teatrali.
Capita raramente di leggere un libro e di non trovarvi un seppur minimo riferimento allo spuntino del protagonista o allo snack veloce di un personaggio secondario. Il cibo, in quanto parte integrante e fondamentale della vita umana, ha un ruolo di primo piano nelle opere letterarie poiché, come nella vita, definisce personaggi e attori. Tuttavia, in alcuni testi, il cibo assume una funzione diversa, ma pur sempre preponderante: quella di mezzo, fine o pretesto per l’attuazione di un delitto.
E bisogna partire da molto lontano per incominciare questo excursus gastronomico/criminale. Da Omero e dalla cena di Polifemo a base di coste di agnello prima del dessert di carne umana dei compagni di Ulisse. Per restare nel mondo dei miti e delle favole, potremmo ricordare Biancaneve dei Fratelli Grimm, in cui le mele rosso porpora della matrigna sono il tramite di una seduzione mortale. O magari potremmo ricordarci della fiaba dell’Orco di Charles Perrault, in cui il protagonista, un fine gourmet, anziché nutrirsi di carne fresca e cruda, preferisce i suoi pasti di carne umana ben cotti e teneri. Come dimenticare poi Cappuccetto Rosso e le sue tortine per la nonna, meno attraenti agli occhi del lupo, il quale preferisce l’acerba giovinezza della bimba e la matura consistenza della carne della nonna.
Il Dracula di Bram Stoker, dopo le sue notti passate in giro a succhiar sangue, la mattina si ritrovava a fare spesso colazione con porridge e paprika, o magari con delle melanzane ripiene di carne macinata. In quanto a gusti e abbinamenti avremmo da ridire qualcosa, credo. Mr. Ripley, uscito dalla penna di Patricia Highsmith, riesce sempre a farla franca, mente sapendo di mentire e la sua immoralità si fa beffe delle debolezze altrui. Il cibo per lui diventa spunto e pretesto per assumere altre personalità e rivestire diversi ruoli, tutti funzionali ai suoi biechi interessi. Durante la sua Dolce vita romana si rivela essere un insaziabile amante della cucina raffinata, e lo vediamo banchettare allegramente nei più lussuosi ristoranti della capitale.
Una recita simile la mette in scena Cathy Ames in La valle dell’Eden di John Steinbeck, in cui ha il ruolo della casalinga perfetta che dietro un apparente docile perbenismo, nasconde un’identità mostruosa che mira a distruggere e manipolare tutto ciò che la circonda per il puro pretesto di farlo. Infatti, che bisogno aveva di mettere alcune gocce di un potente lassativo nella cena di Faye? La stessa innocente domanda non potremmo rivolgerla ad Hannibal Lecter, noto gourmet ed intenditore di cibi e vini raffinati: rischieremmo di finire a tavola, e non come ospiti. Thomas Harris, infatti, ce lo presenta quasi sempre intento a gustare piatti prelibati e ricercati. Era golosissimo di panini dolci, che gli piacevano quasi quanto il cervello fritto delle sue vittime.
Stesso dicasi per Patrick Bateman, che a gustare le sue vittime però non ci pensa proprio: preferisce torturarle, sezionarle, magari con un molto pratico motosega. In American Psycho lo vediamo spesso pranzare nei più lussuosi ristoranti di New York e Bret Easton Ellis indugia di frequente nella descrizione dei piatti da lui scelti: ravioli in salsa di mele, filetto di capra con uova di quaglia, anatra arrosto con vellutata di zucca.
Il menù criminale potrebbe continuare, ma noi ci fermiamo qui: siamo già sazi.