All’interno della letteratura religiosa di fine XIII ed inizio XIV secolo, si inserisce la tradizione della lauda: uno dei suoi esponenti più celebri, vigorosi e sconvolgenti, è ravvisato nella figura enigmatica di Jacopone da Todi.
Alcune delle sue opere (per lo più laudi, appunto), circolano e si diffondono per vie traverse ed inaspettate, anche allo stesso compositore: esse furono scritte ad uso e consumo dei confratelli francescani, per essere lette e studiate all’interno delle mura dei conventi da occhi ben diversi rispetto a quelli che appartennero ai veri utilizzatori.
I laudari contenenti gli scritti di Jacopone si diffusero tra le confraternite, ed iniziarono ad essere stampate già nel 1490 a Firenze, a cura di Francesco Bonaccorsi, tipografo e sacerdote, nonché autore di oltre quaranta stampe popolari, tra cui molte savonaroliane, ed una del Convivio, ornata da pregevoli xilografie.
Ma chi era Jacopone? E quale fu l’elemento peculiare che lo contraddistinse all’interno del panorama letterario religioso del tempo?
Le sporadiche notizie che ci sono giunte, sono quasi tutte ricavate dalla sua poesia stessa, ed è bene dunque considerarle secondo la fonte da cui provengono.
Nacque a Todi, probabilmente tra il 1230 e il ’36 da una famiglia appartenente alla nobiltà, quella dei Benedetti. Il suo repentino trapasso da avvocato praticante innamorato della vita mondana, a ruvido predicatore nullatenente, è legato ad una leggenda, secondo la più consueta delle tradizioni cristiane: si racconta, infatti, che la subitanea conversione di Jacopone avrebbe avuto luogo in seguito al terribile evento del crollo del pavimento di una sala da ballo durante una festa, nel quale la moglie rimase uccisa.
Il neo-convertito trascorse dieci anni in penitenza, nell’auto-umiliazione, vivendo di offerte volontarie, finché, nel 1278, reputandosi pronto, entrò nell’ordine francescano come frate laico. In questo periodo di avvicinò molto agli spirituali, portando avanti la loro lotta contro la corruzione della Chiesa, recandosi spesso anche a Roma. Questa presa di posizione, però, gli costò molto in seguito, quando, tramontata la speranza in Celestino V (nella lauda Que farai, Pier dal Morrone il frate mise in guardia il pontefice da eventuali compromessi), Bonifacio VIII perseguitò gli spirituali. Questi ultimi, compreso Jacopone, sottoscrissero per tutta risposta il manifesto di Lunghezza del 10 maggio 1297, negando la validità dell’elezione del papa ostile.
Il risultato fu un durissimo assedio alla città di Palestrina, bacino di raccolta dei ribelli; dopo la caduta della città nel 1298, Jacopone fu arrestato ed imprigionato. La sua reclusione durò circa cinque anni, fino alla morte di Bonifacio VIII, poiché a nulla valsero le richieste di revoca della scomunica, subita in seguito al manifesto del ’97. A liberare il frate, nel 1303, fu Benedetto XI, sostenitore di una linea decisamente più moderata nei confronti degli ordini mendicanti. L’avventura di Jacopone da Todi si concluse poco dopo, nel convento di San Lorenzo di Collazzone (a metà strada tra Perugia e la sua Todi), dove morì in preghiera nel 1306.
Nonostante la figura di un ricco nobile convertito alla povertà e dedito alla lotta contro la corruzione del clero romano possa risultare scontata e prevedibile, chiunque tenti di ravvisare in Jacopone da Todi uno scialbo seguace del più inconsistente filone pseudo-agiografico-elogiativo di ascendenza cristiana, viene smentito clamorosamente alla fondamenta delle proprie convinzioni: il pensiero, così come gli scritti del frate del Duecento-Trecento, sono intrisi di una radicale negatività nei confronti dei rapporti umani in toto. Egli era non solo convinto che gli affetti terreni fossero null’altro che un gioco di inganni, ma considerava fasullo l’affetto degli uomini nei confronti degli altri uomini, i quali, in realtà, si interessavano ai beni materiali, o a coltivare l’immagine di se stessi riflessa negli atteggiamenti dei propri simili.
Fu proprio a causa di questa sua radicale asocialità di pensiero che Jacopone rimase un poeta privo di seguito nella letteratura del tempo, nonostante la preziosità delle sue Laudi, celebrazione del paradossale amore nei confronti del divino: gioia e dolore, ma anche guerra interiore e pace totale per l’individuo che ha sperimentato l’esperienza mistica suprema.