Mancarsi (Einaudi 2012) dello scrittore Diego De Silva si apre con una frase di Franz Werfel: “L’unico vero possesso dell’uomo è nelle cose che ha perduto”. Sento che potrebbe mancare l’aria, mancano le certezze, mancano quelle che solitamente chiamo “le cose solo mie”, sulle quali posso contare e grazie alle quali ritrovo l’equilibrio. In quella frase risiede l’infinito potere insito nella perdita e il suo conseguente valore. E’ una sconfitta su tutti i fronti, un fallimento, si crea un vuoto tra chi ha perso e il mondo che sembra in attesa di qualcosa, un mutamento, un segno. Una resurrezione.
Per comprendere appieno il significato di quella frase è necessario afferrare la storia e ascoltarla. In punta di piedi si entra nella vita di Nicola e Licia, di Irene e suo marito, poi nella vita di Nicola senza Licia e in quella di Irene senza suo marito. Un uomo e una donna, due persone ma tante vite. Anzi forse potrei dire fotogrammi scanditi dalla violenza degli eventi, dalla monotonia, ma anche dalle piccole cose quotidiane, come può essere una cena in un bistrot vicino a casa.
Nicola e Licia cenano spesso in quel bistrot. Lo stesso tavolo da anni, gli stessi piatti (i camerieri ormai li conoscono, talvolta non hanno neppure bisogno di prendere l’ordinazione), il menu scritto con il gessetto sulla lavagna, lo specchio grande che sembra dare respiro al locale, la caricatura di Buster Keaton. Sono le piccole cose quotidiane che diventano le cose di Nicola e Licia, quelle stesse cose che, quando Licia verrà a mancare, faranno perdere l’orientamento a Nicola, lo spaventeranno, in altri momenti lo lasceranno un poco indifferente. Ha paura, certo che ne ha Nicola, eppure cerca di accettarsi per quello che è o meglio per l’uomo che è diventato dopo la morte di Licia. Il suo matrimonio viaggiava sui binari della costante infelicità e ora lui si ritrova con una manciata di ricordi, tempo e libertà di cui non sa che farsene. Non è un nostalgico, Nicola. Concretamente, ma con molta umiltà, rimette insieme i pezzi di una vita passata per riuscire ad affrontare il presente.
Irene è una donna sola in un matrimonio sofferente. Guarda la sua vita come si guarda il paesaggio dal finestrino di un treno in corsa. Prima di arrivare al capolinea, trova il coraggio di scendere e riprendere il suo tempo. Anche per lei il bistrot è una delle cose solo sue, dove bere un bicchiere di vino e leggere un libro è qualcosa che somiglia molto allo stare in famiglia.
La storia tra Nicola e Irene induce a immaginare un lieto fine ma soprattutto pone delle domande sull’amore, su cos’è, su cosa non è (soprattutto su cos’è), sulla vita di coppia, sull’amore nella vita di coppia, sul sesso nella vita di coppia. Sono domande che si pone Nicola, poi Irene e poi, come logica conseguenza, il lettore stesso.
Tra le pagine di questo libro non c’è spazio per risposte certe, nessuno si vuol far carico di una verità che sarebbe troppo faticoso custodire. E quindi ci si interroga, continuamente. Intanto si perdono cose, si perdono attimi di vita, emozioni, sensazioni, odori. A volte persone. E si mancano attimi, si mancano persone, tavolta si manca pure a noi stessi. Poi invece qualcuno si ritrova, basta voltarsi, basta guardare nella direzione giusta. “Lights will guide you home and ignite your bones…”