Un dibattito che non ha mai smesso di essere attuale è quello che vede come suoi protagonisti da una parte la cultura, dall’altra la gente comune.
Non è un mistero che l’accesso alla cultura sia stato, da tempi remoti, appannaggio di cerchie ristrette di fruitori, i quali non hanno mancato di sottolineare il ‘privilegio’ di farne parte, di non amalgamarsi alla massa. Questa convinzione non ha fatto altro che aumentare una distanza già di per sé molto ampia, dovuta a comuni impedimenti che gente altrettanto comune era costretta a subire: scarsa alfabetizzazione, ristrettezze economiche, informazione quasi assente, e tanto altro ancora. Si è andata così fossilizzando una distinzione – non scritta, ma palpabile nell’aria – tra la cosiddetta letteratura ufficiale, arroccata nelle sue librerie, luoghi deputati alla sua distribuzione, e quel circuito ad essa contiguo che è il circuito popolare, i cui centri di diffusione vanno dalle stazioni ai supermarket alle bancarelle alle cartolerie.
In tutto il Novecento, ma anche ai nostri tempi, si è assistito continuamente ad una differenziazione – che ha il sapore del disprezzo, talvolta – nei confronti di coloro i quali si sono serviti, e si servono ancora, di strade alternative per arrivare alla lettura di un libro. La cultura ufficiale segue percorsi distinti, che poco o niente hanno a che fare con l’itinerario abituale compiuto da un operario, da una donna di casa, dallo studentello in erba, dall’impiegata. Eppure, sono state proprio queste persone a dare man forte ad una letteratura che aveva bisogno di essere svecchiata, spogliata dei limiti che per troppo tempo l’avevano quasi trincerata dietro un canone prestabilito.
E’ negli anni Sessanta, a fianco dei Beatles e della sinistra, che si inizia a parlare di letteratura di massa, soprattutto grazie ad una semplice, ma rivoluzionaria trovata: il tascabile. Si tratta di piccole accortezze, ma indispensabili per un rinnovamento generale: il libro è in edizione economica, e questo automaticamente lo rende accessibile ad una fetta molto grande di popolazione; è stampato in grandi tirature; è distribuito nelle edicole, privando il lettore ancora incerto della soggezione di entrare in libreria. La funzione del tascabile ha rappresentato un momento di enorme sviluppo storico per il Paese, permettendo una più facile circolazione delle idee e della cultura scritta. In Italia la prima apparizione risale al 1949, con la BUR (Biblioteca Universale Rizzoli), con un prezzo di 50 lire. Ma il più noto è sicuramente quello degli Oscar Mondadori, nati nell’aprile del 1965 con la pubblicazione di Addio alle armi, di Ernest Hemingway. Con gli Oscar vengono pubblicati grandi e piccoli autori, appartenenti alla tradizione letteraria ‘alta’, presentati, però, come prodotti di una specie di consumizzazione della letteratura, poiché non forniscono alla masse un’adeguata preparazione critica. Ma resta evidente un fatto: gli Oscar sono destinati a tutti i membri attivi e informati della società, vecchie reclute e new entries.
E quindi, se gli italiani leggono un po’ di più rispetto al passato, perché ricorrere necessariamente a distinzioni di qualità?