Siamo alla sera del Venerdì Santo del 1300. Tutto nella Commedia è temporalmente definito: la prima cantica si svolge in un giorno e mezzo, dall’alba del Venerdì Santo al tramonto del Sabato Santo. Sono le trentasei ore più intense della storia della letteratura.
Abbiamo deciso di partire con il secondo canto perchè è con esso che, di fatto, inizia la prima tappa del viaggio. Se il primo funge da proemio all’intera opera (e spiega quel numero di 34 canti, uno in più rispetto a Purgatorio e Paradiso), il secondo svolge la medesima funzione nei confronti dell’Inferno. Un canto straordinario, affascinante quanto semplice; e che riveste, inoltre, un ruolo fondamentale nella struttura narrativa.
I primi nove versi costituiscono il proemio alla prima cantica: protasi e invocazione, proprio come nei poemi epici. Pronto a sostener la guerra/sì del cammino e sì de la pietate, il Sommo Poeta compie un’innovazione senza precedenti: insieme alle canoniche Muse, invoca il proprio ingegno. Stiamo parlando di un caso unico. La terzina è scolpita nella storia:
O muse, o alto ingegno, or m’aiutate;
o mente che scrivesti ciò ch’io vidi,
quì si parrà la tua nobilitate
Dante ha pienamente coscienza che questa missione comporta doti eccezionali, fuori dal comune. Ma questo gli suscita mille dubbi: questo straordinario viaggio si confà alle sue forze? Il solo tentarlo non è forse “follia”, cioè un fidare in se stesso oltre il lecito? Il sostantivo “follia” e l’aggettivo “folle” ricorrono più volte nella Commedia, e folle verrà definito il viaggio di Ulisse, che nel canto XXVI, spinto da insaziabile voglia di conoscere – ma unita a superbia e tracotanza – si spingerà oltre le Colonne d’Ercole, finendo travolto da un destino ineluttabile.
Il Poeta, a cui non manca il peccato di superbia – ed egli ne è ben conscio – compie un meraviglioso atto d’umiltà. E a Virgilio, maestro e fido sostegno, esprime le sue umanissime perplessità:
Io non Enea, io non Paulo sono
Enea e San Paolo, quali illustri predecessori nel regno dell’Oltretomba! E Virgilio si appresta a risollevare l’animo del pellegrino: come maestro lo ammonisce, accusandolo addirittura di viltade; come padre lo conforta, spiegandogli come il viaggio nell’Aldilà sia voluto dall’Alto. La Vergine Maria, S. Lucia e Beatrice: sono le tre donne che hanno voluto che tutto si compiesse, le “garanti” della missione. L’ordine non è a caso, ma segue un criterio “gerarchico”: la Madonna ha demandato il compito a S. Lucia, la quale chiede a Beatrice di intercedere concretamente. La donna scende nel Limbo, si presenta a Virgilio e lo elegge a guida di Dante nell’Inferno, ordinandogli di soccorrere l’amato nella selva, preda delle tre fiere che, nel primo canto, gli ostacolano il cammino. I versi sono percorsi da un afflato di Stilnovismo, la cui presenza poetica è imponente.
I’ son Beatrice che ti faccio andare;
vegno del loco ove tornar disio;
amor mi mosse, che mi fa parlare
Queste sono le parole che Beatrice rivolge a Virgilio. A muoverla è Amore, quella straordinaria forza in grado di cambiare il corso delle cose.
L’autore dell’Eneide, con il suo racconto, ha centrato l’obiettivo: Dante ora è rassicurato, e fermo nel proposito di iniziare e portare a termine il faticoso viaggio. Come uno stelo che al primo sole si schiude, il cuore del Poeta si rinfranca.
Il cammino, adesso, può davvero iniziare.