La grande spinta della letteratura dialettale napoletana si sviluppa tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600, nel periodo in cui la città visse la sua massima espansione economica, demografica e urbanistica, presentandosi come un universo brulicante, caotico, ma abitato da un popolo povero e superstizioso. In quel periodo storico, Giovan Battista Basile fu l’artefice (assieme al Cortese) di una produzione letteraria originalissima, coraggiosa e ricca di invenzioni lessicali, raggiungendo la massima espressione stilistica nella raccolta di fiabe Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de li peccerille, quadro paradossale del labirintico mondo napoletano.
L’opera incanta per le sue esagerazioni, per le atmosfere magiche e per l’elevata capacità di amalgamare il grottesco col fiabesco, con situazioni ricche di comicità, grazie alla sua dirompente capacità di rompere i limiti del reale, mentre l’eccesso del meraviglioso scatena un riso festoso e inesauribile. Seguendo uno schema comparabile a quello del Decamerone e facendo il verso alla famosissima raccolta di novelle orientali Le mille e una notte, l’impianto narrativo e costituito da un’unica storia che comprende cinquanta fiabe, divise in cinque giornate.
La storia si apre con la triste principessa Zoza che non riesce a ridere. Un giorno vede una vecchia che scivola goffamente su una macchia d’olio e si riappropria del sorriso che credeva avesse perduto. All’ilarità della principessa la vecchia risponde con una maledizione. Così forte è il dolore della principessa che le sue lacrime liberano un principe rimasto intrappolato dentro un sepolcro. Con uno stratagemma, una schiava mora prende il posto della principessa e riesce a sposare il principe, ma con l’aiuto di tre fate Zoza suscita nell’avversaria un incredibile desiderio di ascoltare racconti, soddisfatto da dieci orrende vecchiette che si prestano a raccontare le loro peripezie. Sotto le sembianze dell’ultima narratrice si nasconde la stessa Zoza che racconta la propria storia e rivela al principe l’inganno della schiava. Alla fine la principessa riesce a unirsi in matrimonio col principe.
Lo strumento fondamentale della singolare comicità che pervade l’opera del Basile è un dialetto lavorato fino all’esasperazione, i cui caratteri popolari sono miscelati con sapienza letteraria. Il napoletano viene esibito in tutte le sue possibilità pittoriche, ricco di musicalità, e allude a realtà minute ma concrete, riflettendo frammenti di vita bassa che non hanno nulla da spartire con i modelli nobili delle grandi corti. Ogni pagina è un ricco vocabolario, ed è un mondo ansioso di trasformarsi in qualcosa di favoloso.
La narrazione è un’interrotta sequenza di sostantivi, aggettivi e cascate di sinonimi, popolata da innumerevoli oggetti, voci, corpi che cambiano, con inarrestabile inventiva, aspetto e condizione sociale. Si passa dal minerale al vegetale, dall’animale al corporeo con estrema naturalezza. Tutto è animato e gioioso, ma a differenza del modello fiabesco classico, queste storie oscillano tra momenti di dolcezza e tenerezza, dove non mancano scatti di crudeltà e amara violenza.
È una mappamondo materiale ma al contempo organico, ambiguo e ambivalente, confusionario ma mai banale, dove e facile perdersi in una realtà non umana, lontana da ogni realismo e da ogni riferimento storico. In quest’opera regna sovrana la letteratura, concepita nella sua embrionale natura, cioè come un’inesauribile fucina di storie e mirabolanti situazioni, con un linguaggio e una scrittura che derivano direttamente dall’immaginario napoletano.
Lo cunto de li cunti è il capolavoro letterario del barocco italiano. Nonostante lo scoglio della difficoltà linguistica, ancora oggi risulta una lettura godibile e affascinate, senza nascondere forti tensioni sociali. Lo scrittore scelse cinicamente di evadere da una società difficile e contraddittoria, come se quel mondo spettacolare da lui creato fosse l’eco obliquo e tormentato delle urla festanti di un popolo incosciente, sotto il dominio dell’aristocrazia spagnola.