Dopo i risultati elettorali, dopo le polemiche accese all’interno e fuori dei seggi, dopo una serie non indifferente di insulti che l’Italia si porta dietro come fossero le credenziali del proprio bigliettino da visita (ultima, non d’importanza, l’accoglienza e i commenti riservati al presidente della Repubblica Napolitano in Germania), dopo le insofferenze di cui alcuni nostri esponenti politici si sono fatti portavoce, dopo una lunga trafila di eventi – che per buon gusto chiameremo tali ma che, a buona ragione, sarebbero da definirsi processi giudiziari e scandali –; ebbene, dopo tutto questo, fare delle riflessioni diventa d’obbligo. Non perché ci si debba necessariamente buttare nella mischia, non perché qualcuno ce lo possa chiedere, ma piuttosto per puro orgoglio e semplice dignità di individuo – non solo, di popolo.
Di fronte ad allarmanti notizie che vedono tornare alla ribalta personalità che hanno, sì, lasciato il segno nel nostro Paese, ma che ha tutto l’aspetto di un vero e proprio marchio, tornano alla mente le parole di un uomo che ha lottato con ogni sua forza affinché la si smettesse di essere incatenati ad una condizione di apatia, quasi, di indifferenza, di passività, un uomo che due giorni fa ci ha lasciati, all’età di 95 anni, con un lascito non indifferente. Si tratta dello scrittore Stephan Hessel: nato nel 1917 da una famiglia ebrea, fu prigioniero durante la seconda guerra mondiale, riuscì ad evadere e raggiungere il generale De Gaulle in Francia; fu nuovamente arrestato e deportato nel campo di concentramento di Buchenwald, dove nascose la propria identità per sfuggire alla impiccagione; evase di nuovo, e di nuovo venne catturato, ma sfuggì buttandosi da un treno in corsa e riuscendo a raggiungere le truppe americane; dopo la Liberazione lavorò come diplomatico al Segretariato generale dell’Onu e partecipò alla stesura della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Ai più è conosciuto per essere stato autore del pamphlet ‘Indignatevi!’ (‘Indignez-vous!’), tradotto e venduto in tutto il mondo. Attraverso uno stile incisivo ed esplicito, Hessel si chiedeva dove fossero finiti i valori della Resistenza, dove fossero finite la voglia di giustizia e di uguaglianza. Nel 2010 è diventato un caso mondiale, con il suo assordante campanello d’allarme che invitava tutti, specialmente le giovani generazioni, ad “impegnarsi e rivoltarsi”. Hessel partiva dalle violenze, dalle stragi subite, per sottolineare quali sono i motivi per cui combattere, per cui indignarsi, innanzitutto. Soltanto in questo modo sarebbe stato possibile, è possibile, risvegliare le coscienze fin troppo sopite.
E se – come avrebbe detto qualcuno – “Il momento è delicato”, sarebbe il caso che tutti leggessero le sue parole, che tutti realizzassero una cosa:
“Dobbiamo badare tutti insieme che la nostra società resti una società di cui possiamo essere fieri.”
Chi di noi può dirlo?