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Il cuore del tè

La teiera borbottava come sempre nella cucina di Noemi e il rumore delle pagine girate scandiva il tempo al posto del vecchio cucù ormai fermo da anni. Non era vecchia, ma sembrava decrepita, ed era brutta: i capelli raccolti senza cura erano sempre un po’ sporchi e bianchi a tratti, il naso, grazioso ai bei tempi, era aumentato di volume, assomigliando ad una fragola marcia e gli occhi, quegli occhi che tanto avevano fatto sospirare non molti anni prima, avevano perso la luce e, chini sopra le righe di “Orgoglio e Pregiudizio”, faticavano a seguire la parole, mentre le ciglia inciampavano per la sonnolenza.

 

Si alzò, aiutata dalla sedia a dondolo, e, strascicando le pantofole di lana, si versò una tazza di tè scuro. Osservava la bustina volteggiare nell’acqua, che lentamente prendeva colore, cominciò a girare con cura il cucchiaino, tintinnando per far sciogliere lo zucchero e il vapore emanato le suscitò inevitabilmente il pianto; non era l’irritazione per il calore a provocarle le lacrime, ma il tè, il suo odore le riportava la mente all’uomo che l’aveva ridotta in quel modo. In realtà lui non aveva fatto nulla , si era limitato, negli apparentemente lontani anni ’80, ad invitarla ad un ballo per poi non ricercarla mai più come faceva con la maggior parte delle ragazze. Ma la sua estrema sensibilità non aveva retto il colpo dell’abbandono e si era ritirata in quella casa, scavandosi la fossa giorno dopo giorno. Quell’uomo profumava di tè e da quel giorno ogni tazza che ne beveva era un fiume di lacrime: il tè costituiva gran parte della sua dieta quotidiana.

 

Sorseggiò la bevanda singhiozzando, nel pieno rispetto della procedura di quel malinconico rito, e riprese in mano il libro: era noioso, le vicende di quelle donnette incipriate non facevano che farla sbadigliare tra le lacrime. Alzò lo sguardo e lo diresse alla televisione. Quant’era che non l’accendeva? Sembravano secoli. Tuttavia quel giorno una bizzarra voglia la solleticava a prendere il telecomando e cercare un canale decente; forse la noia era arrivata a tal punto che qualsiasi movimento appariva allettante, fatto sta che tentò la fortuna premendo il pulsantino rosso. La sua curiosità si dimostrò priva di senso: i soliti programmi stupidi, gli stessi presentatori ciarlatani col sorriso spiaccicato in faccia. Non era cambiato proprio niente e infatti il dito grassottello di Noemi stava per far nuovamente visita al sorridente pulsantino, se non fosse che la nota sigla annunciò l’imminente inizio del notiziario e lei decise di aspettare.

 

“ Buongiorno a tutti i telespettatori, partiamo subito con la prima notizia di oggi che riguarda l’improvvisa morte del noto avvocato Franco Mariani, ultimamente impegnato nella difesa dell’ Onorevole Magiotti; il decesso è avvenuto questa mattina nella sua casa di campagna e a causarlo sembra sia stato un infarto, ma si attendono i risultati dell’autopsia. La moglie e i figli…”

 

Noemi spense la tv. Franco? Mariani? Avvocato? Era finito a fare l’avvocato quel bastardo! Ed era morto d’infarto, certo pieno di soldi da lasciare ai paffuti figlioletti, avuti da chissà quale donna riuscita a non farlo andar via!

 

Proprio così, era morto, era morto colui che l’aveva uccisa; non contava più niente il suo fascino, vano era il suo carisma e innocua la sua insensibilità… Lui, astro luminoso nella mente di Noemi, s’era spento di colpo e tra poco sarebbe stato divorato da vermi insaziabili; lei, invece, stupida donnetta infelice ed inutile, poteva ancora sentire la vita scorrerle fra le dita e (a pensarci bene) non aveva alcun diritto di evitarla, distogliendo lo sguardo. Inspirò profondamente tra lacrime nuove, forte di un’emozione quasi dimenticata; con un rapido movimento dei piedi lanciò in aria le ciabatte, si tolse i calzini di spugna e finalmente attaccata alla vita corse verso la finestra e la spalancò, vincendo il gonfiore del legno. Guardò fuori avida, sbirciò il cielo, poi lo scrutò, ascoltò lo stormire delle fronde, il fruscio del vento, il canto melodioso dei merli, sentì sulla pelle la fresca brezza e il tiepido sole, respirò l’aria muschiata e assaporò la dolce primavera, e timidamente sussurrò: “Sono viva!”, poi dette più fiato ai polmoni, prese coraggio e finalmente riuscì a urlare: “Sono viva!”. La sua voce risuonò per tutta la collina, mischiandosi alla natura e una flebile farfalla foglia di tè le si posò sul mignolo destro.

 

La vita era sua e nessuno gliel’avrebbe più tolta.