nei giorni seguenti mi sforzai di dimenticare ogni cosa, ma siccome non ci riuscivo, andai a cercare un uomo che conoscevo da tanto tempo. da sola non ho mai combinato niente.
così, qualche giorno dopo, al sicuro, nella mia città, bussai alla porta di un tipo che non si era mai premurato di nascondermi quanto mi volesse. era piuttosto bello e beveva come un dannato.
mi parve quello giusto al momento giusto. sapeva di burro e di zucchero. era chiaro come certe mattine estive. e l’estate fu il nostro territorio. aveva dei piedi meravigliosi, li portava sempre scoperti, che è una cosa rara per un uomo. non sono molti gli uomini che si curano dei loro piedi. li strapazzano sui campi di calcetto, li induriscono nelle scarpe da ufficio.
lo vedevo di giorno, perché la notte mi faceva ancora paura, per via delle fragole.
non mangiava quasi mai, tranne che al ristorante, una volta al giorno: la sua cucina era vuota. e non dormiva mai. così non mi preoccupavo della fame, né del sonno.
ma la fame non mi era passata, no. non mi passava mai.
ogni tanto facevamo l’amore, poi uscivamo insieme per fare qualcosa di umano. quando andavamo al ristorante pagava sempre lui. è il minimo.
mangiavo solo al ristorante. si impegnava a cercare ristoranti sempre nuovi, ma controllava quello che mangiavo, il mio peso, come mi cadevano i vestiti. e dire che la pancia etilica l’aveva lui.
se restavamo in casa, aveva sempre una bottiglia di rosso aperta sul tavolo. rosso, per fortuna. una volta che stappò un gewurtztraminer gli dissi che il bianco mi faceva venire mal di testa. andavo avanti a nero d’avola, a primitivo, a brunello.
a casa sua bevevo. non dormivamo. mi pareva un buon compromesso.
per la maggior parte del tempo parlava di sé, ma non mi pesava. se stesso era il suo argomento preferito. io quasi non esistevo, se non per essere un gigantesco paio di orecchie in cui si ritrovava. si amava da pazzi. e a me andava bene così.
è totalmente confortante avere a che fare con qualcuno che pensa solo a se stesso. non può darti qualcosa che perderai, un giorno. non può metterti in crisi, perché non sa nulla di te, non ci capisce niente, di te. sei al sicuro.
poi la sbronza passò. passò l’estate. il tipo evaporò con il calore che abbandonava la città, come tutto il vino che avevo bevuto e che non sentivo più. semplicemente, smisi di andare a casa sua.
il freddo improvviso me lo impedì: una mattina non riuscii proprio a uscire di casa. desideravo soltanto restare accucciata tra le mie coperte. e lo feci. così, da un giorno all’altro.
non mi cercò mai, e gli sono ancora grata per questo.