“La vendetta è un atto che si desidera compiere quando si è impotenti e perché si è impotenti: non appena il senso di impotenza viene meno, svanisce anche il desiderio di vendetta”
(George Orwell – da La vendetta è amara, in Romanzi e saggi)
La vendetta, dicono, è la prima forma di giustizia. Prima di quella divina, prima di quella sociale, prima di quella legale. L’uomo conosceva un solo modo di rispondere ad un torto subito, per placare la propria rabbia o anche ritrovare una “meritata” serenità: punire chiunque gli avesse causato sofferenza. Con la nascita della religione prima, e dello stato moderno poi, questa primordiale forma di giustizia è stata via via debellata, ghettizzata nel concetto di barbarie o, più semplicemente, di inciviltà. Eppure la parola vendetta continua a circolare nel linguaggio comune, quasi come se il marchio stampatole sulla pelle non sia stato sufficiente ad additarla in senso negativo.
La vendetta ha trovato un’ancora di salvezza nell’arte, in tutte le sue forme, nella letteratura, nel cinema, nella musica, nella pittura. Grazie all’estro e all’immaginazione di molti artisti, la più antica forma di giustizia ancora sopravvive, rientrando forse in quell’aura che racchiude miti e leggende. La stessa aura che avvolge il racconto del Pelide Achille, costretto ad uccidere Ettore per vendicare la morte di Patroclo, o la tragedia shakespeariana dell’Amleto in cui lo stesso protagonista diventa vittima della sua sete di vendetta. Anche se il romanzo di genere per eccellenza resta il capolavoro di Alexandre Dumas, Il conte di Montecristo, in cui il protagonista Edmond Dantès, intraprende un viaggio metaforico, e non solo, alla ricerca della vendetta nei confronti di coloro i quali gli hanno rovinato la vita, finendo poi per imbattersi nei sentimenti del perdono e della misericordia: «Gli uomini veramente generosi sono sempre pronti a diventare misericordiosi quando la disgrazia del loro nemico oltrepassa la loro collera».
Di tutt’altro genere, eppure forse il più conosciuto, è l’esempio della fortunata serie di fumetti V for Vendetta, ideata da Alan Moore e disegnata da David Lloyd. Portata al successo (del grande pubblico) dalla trasposizione cinematografica del 2005, la storia narra le vicende di un uomo mascherato che, in una Londra futuristica e vittima di una dittatura, combatte il governo intraprendendo un quasi folle cammino di vendetta.
Gli esempi nella letteratura passata e moderna sarebbero tanti. Ciò che resta è dunque la consapevolezza di voler dare nuova linfa vitale a questo sentimento così cupo, individualista e cieco. Perché? Nietzsche sosteneva che la vendetta è una pura espressione di ciò che non si vuole perdere: non dimenticare il passato, per poterlo rivivere ancora e ancora, “torturando” se stessi e il proprio nemico. Perdonare è dimenticare, dimenticare è lasciare andare. Quasi la stesura di un cerchio che, a quanto pare, non tutti sono disposti a chiudere.
E l’arte altro non è che la trasposizione della realtà, mista a quel pizzico di immaginazione necessaria.
To remember and let go. Forse sarebbe l’unico vero modo per ritrovare la serenità.