C’era una volta, nei pressi di un grande caseggiato, un’aiuola. Che poi, aiuola è una parola grossa, più che altro era un appezzamento polveroso e abbandonato, dove tutti i cani del condominio, in processione, si recavano per far i loro bisogni. Un giorno, però, passò di lì Piero, di professione giardiniere, benché disoccupato. A riguardare quell’aiuola miserella, gli pianse il cuore e gli si aguzzò l’ingegno.
-Ecco pronta l’occasione di un impiego e la possibilità di portar la vita lì dove ora c’è solo morte – mormorò tra sé e sé – diamoci da fare!
Tanto brigò e tanto pregò che l’amministratore gli affidò l’incarico, sia pur part time. Il giardiniere così piantò bulbi esotici e nostrani che gli dettero presto o tardi gran soddisfazioni. Solo una margherita si ostinava a crescer stenta. Quando fioriva, infatti, si limitava a cacciare dei fiorellini pallidi che a sera erano già belli che morti. La cosa andò avanti per settimane e poi per mesi, finché Piero non decise per un misterioso innesto e un giorno, su uno dei rami comparve una grossa gemma.
In verità quell’infiorescenza era addirittura enorme, per forma e dimensione, un bocciolo spropositato assai per quell’esile piantina.
Piero sorrise soddisfatto pregustando la sorpresa. La margherita invece sospirò.
-Ohibò! Me tapina, come se le mie pene non fossero già abbastanza!
Eggià, perché se quel bottone cresceva a vista d’occhio e pareva godere d’ottima salute, parimenti lei deperiva a rischio della vita.
Ma – si sa – le mamme son sempre mamme, e la nostra non volle rinunciare a una figlia anche se strana, e attese.
Un giorno, due, tre, una settimana e al fine, una mattina, ecco fiorire nientemeno che una rosa rossa come il fuoco e passionale di temperamento, pronta, sin dal primo istante, a dettar legge.
-A me l’acqua più fresca, a me i raggi più caldi! Ecchediavolo, sono pur sempre la più bella- diceva altera, gettando un’occhiata di disprezzo tutto intorno.
In verità, nonostante il pessimo carattere, era magnifica davvero, così carnosa e profumata da stordire, di gran lunga la regina dell’aiuola.
E più passava il tempo, più la sua beltà aumentava, suscitando le ire degli altri fiori. Per giunta Piero, allegro e soddisfatto, ne era tanto affascinato da trascurare il suo dovere. Poche cure alle altre piante, mentre a lei riservava il meglio.
-Così non va, amica mia – mormorò melliflua la gramigna alla margherita il giorno che giudicò la misura essere colma – ‘sta figlia tua ci sta affamando tutti. Così non si può andare avanti, sei tu la madre in fine, a te sta metterla in riga.
La margherita – cuore di mamma – non se la sentiva, però, di questionare con la figlia.
-Lascia che faccia la sua vita! Dopotutto, a te che nella miseria prosperi oltre misura, che importa?
La scelta del negoziatore, effettivamente, non era stata la migliore e alla gramigna, non restò altro che riferire.
Così il sedicente Comitato Floreale di Liberazione dalla Rosa tornò a riunirsi per discutere il da farsi.
Ci furono intensi conciliaboli, con le viole del pensiero a escogitar vendette, la malerba a offrirsi da sicario e le mammole a cercare di mediare.
Ma i fiori – è noto – son tipi sedentari, e, per quanto animati da passione, impossibilitati ad attuar fattivamente i loro piani, sicché qualsivoglia idea finiva per non andare oltre la teoria.
A trarli fuori d’impiccio ci pensarono due papaveri, di lontane origini orientali, che si offrirono di spargere intorno alla rosa una misteriosa polverina di loro produzione, capace di mutar le percezioni sensoriali.
-Con una simile sostanza – dissero con fare circospetto – Piero non vedrà più una rosa ma un misero carciofo, e la poterà senza frapporre indugio.
E così fu.
Il povero giardiniere come si avvicinò al fiore, fu colto da vaneggiamento e al posto dei profumati petali non vide che orride spine.
Con rabbia e disappunto inforcò le forbici e tagliò.
La rosa morì così, senza nemmeno un grido, mentre si pavoneggiava con un’ape di passaggio attratta anche lei dal suo profumo.
Svanito l’effetto della sostanza dopo un caffè corretto, Piero fu colto da malore. Il suo fiore più bello, oggetto e frutto e del suo amore, giaceva nella polvere. Disperato, provò a riattaccarle il capo con altri innesti, ma fu inutile.
Infine, ignaro dell’inganno, fuggì lontano a espiar la colpa, nel WWF a fare il difensore a tempo pieno del patrimonio floreale.
Quanto agli altri fiori, bé, la loro sorte non fu migliore.
La margherita, orfana della figlia, morì di crepacuore, mentre l’altra flora, non avendo modo di allontanarsi dall’aiuola, inalò a più non posso la papaverina finendo col perdersi in incubi inquietanti popolati di rose insanguinate e desiderose di vendetta.
Prigionieri delle loro ossessioni, dimenticarono ben presto di nutrirsi fino a morire, così il giardinetto tornò solitario e polveroso, adatto solo ai cani per farci la pipì.