Come pesano queste giornate!
Non c’è fuoco che possa scaldare,
non c’è sole che rida per me,
solo il vuoto c’è,
solo le cose gelide e spietate,
e perfino le care le chiare
stelle mi guardano sconsolate
da quando ho saputo nel cuore
che anche l’amore muore.
Hermann Hesse
Abbandonando da poco la giornata di S. Valentino, offro il mio contributo proponendovi una poesia tratta dalla raccolta “Sull’amore” di Hermann Hesse.
“L’amore non vuole avere; vuole soltanto amare.” Con queste parole Hermann Hesse consacra un sentimento studiato e dibattuto da tutti i poeti prima e dopo di lui. Una forza incontenibile giustifica la nostra felicità nel solo atto amoroso, nell’amare l’altro ed esserne felice in quanto amiamo noi stessi; “Felice è chi sa amare”, colui che riconosce nelle sue vene un’energia talmente potente da apparire sovrannaturale, ed è proprio la sua potenza che ci rende vivi e permette al nostro cuore di battere e al nostro sangue di continuare a scorrere.
Nella raccolta “sull’amore”, che racchiude un insieme di prosa e poesia accomunate dal tema trattato, l’amore non è visto quindi come l’atto di possedere, ma come uno stato di appagamento spirituale che ci porta ad onorare un’azione vitale, che non sempre controlliamo, e ad assaporarla quasi come fosse un rituale per abbracciare la nostra essenza. Analizzando il sentimento in tutte le sue forme, Hesse permette ad ogni lettore di “leggersi” in qualunque occasione; racconta, infatti, di amore adolescenziale, amore maturo e amore per sé e per la specie umana.
Vi propongo questa poesia per porre l’accento, appunto, sul variare dell’approccio del nostro scrittore di fronte all’esperienza amorosa. L’amore di cui si parla in tutta l’antologia è una potenza che nasce dal nostro volere, e da quello di nessun altro all’infuori di noi, ed è proprio per questo motivo che l’umanità diventa degna di amare, di essere amata e di amarsi a sua volta. Responsabili della nostra essenza vitale e del nostro continuo andare alla ricerca di quell’istante di gioia appagante, siamo noi gli unici artisti del nostro mondo che riescono a scaldarsi col proprio fuoco o a riconoscere il sorriso del sole. È il poeta stesso a rammentarci, quasi come un rimprovero, che siamo un motore che si accende, siamo i catalizzatori del nostro volere, e che grazie a ciò raggiungiamo il nostro amore, che non è una consolazione alla vita, ma unico e solo motivo per cui scegliamo di correre in una direzione.
Siamo i soli e gli unici condottieri di noi stessi, gli unici piloti del sangue delle nostre vene, che parla per noi e con noi finché saremo vivi e vorremmo esserlo.
Interpreto quindi il tono di lieve amarezza che affiora soprattutto negli ultimi versi di questa poesia, come un memento del poeta che ci urla, in tutta la sua antologia, l’estrema importanza della nostra volontà di essere felici e quindi di amarsi.
Costanza Lindi