Si è soliti dividere la copiosa produzione di Ovidio in tre fasi. La prima è interamente dedicata alla poesia elegiaca d’amore. Al suo interno troviamo gli Amores, le Heroides e le cosiddette opere didascaliche di argomento erotico (cioè Ars amatoria, Remedia amoris e Medicamina faciei femineae). Tra queste, probabilmente, Ovidio comincia a lavorare per primo agli Amores, che costituiscono dunque l’esordio letterario del grande poeta di Sulmona: ha appena 20 anni quando mette mano alla raccolta di elegie, che vengono composte tra il 23 e il 14 a.C.
Originariamente composta da cinque libri, l’opera viene pubblicata nella sua veste unitaria (in un primo momento i libri vennero pubblicati singolarmente) nel 14, ma la versione che noi oggi possediamo e leggiamo è la seconda: datata intorno al I d.C, essa si compone di tre soli libri, in seguito ad una selezione fatta dall’autore stesso, che alleggerisce così la sua prima opera poetica (Ovidio stesso avrebbe scherzato su questo suo “piacere” fatto ai lettori).
Gli Amores sono percorsi, al loro interno, da una dicotomia: da un lato, è presente nella silloge una certa convenzionalità di temi e situazioni legati all’amore per la propria donna; dall’altra, però, è del tutto nuovo l’atteggiamento dell’amante, che affronta la materia in modo spesso giocoso e si pone come ironico nei confronti della propria esperienza. Ed è questa la scommessa vinta da Ovidio: perfettamente consapevole del fatto il grande pubblico ha già assaporato i vertici della poesia in distici elegiaci sull’amore (già erano apparse, infatti, le raccolte di Cornelio Gallo, Tibullo e Properzio), l’autore ne vivifica la lettura, ponendosi in modo del tutto originale nei confronti di una tradizione di cui è chiaramente debitore. La donna cantata nelle poesie è Corinna (nome di fantasia, difficile identificarvi un personaggio reale), e non mancano i classici topoi dell’amore avventuroso (gli incontri furtivi, i tradimenti, le gelosie). A mancare, in ossequio proprio alla tradizione, non è neppure la canonica recusatio, ossia il rifiuto della poesia epica e tragica, con tanto di apologia di un genere letterario dall’impronta ben definita.
È il come che cambia. Ovidio si distacca maliziosamente dalla materia affrontata, e trionfa il carattere di leggerezza che contraddistingue l’opera e lo stile di vita del poeta latino. Le zone dolorose e conflittuali dell’amore – tipiche di Catullo, Tibullo o Properzio – cedono il posto a momenti piacevoli, emozionanti e, soprattutto, di grande sensualità. In più di un’occasione vengono ripresi, in chiave parodistica, temi celebri della poesia elegiaca: il canto di Catullo per la morte del passero di Lesbia diventa, ad esempio, un’ode per il pappagallo di Corinna (che si sviluppa per ben 62 versi, contro i 18 catulliani!).
E laddove le situazione sono tipiche Ovidio esibisce, come detto, un attegiamento del tutto nuovo. Esemplificativi questi versi:
Ecce Corinna venit, tunica velata recincta […]
Deripui tunicam; nec multim rara nocebat,
pugnabat tunica sed tamen illa tegi;
quae cum ita pugnaret tamquam quae vincere nollet,
victa est non aegre proditione sua
“Ecco giunge Corinna, avvolta in una tunica velata […]
Le strappai la tunica; trasparente non era di grande impaccio,
ella tuttavia lottava per restarne coperta;
ma poichè lottava come una che non vuole vincere,
rimase vinta facilmente con la sua stessa complicità”.