Mario Grassoni, cuoco e amante della cucina, non si era mai accorto che il suo braccio destro fosse leggermente più lungo del suo braccio sinistro. La differenza, invisibile perfino agli occhi di un esperto, si era svelata in tutta la sua potenza durante l’ora di ginnastica, quando l’istruttore aveva letteralmente intimato agli allievi di distendere le braccia in avanti. A quel punto Mario, guardatosi circospetto attorno, con un movimento velocissimo, aveva nascosto le braccia dietro la schiena.
La sua faccia si era arrossita in un sol colpo e non certo per lo sforzo ginnico: Mario era assalito da un profondo senso d’imbarazzo; si sentiva immeritatamente vittima di un’ingiustizia e preferiva che il fatto restasse affar suo. Ragion per cui, quando tutto il resto della sala aveva chiuso gli occhi per assecondare il ritmo della respirazione, era scappato via come una scheggia. Mario, abituato per carattere e per mole a una certa lentezza, quando voleva correva, eccome!
Novantacinque chili per un metro e settanta, Mario, occhi neri a mandorla generalmente rivolti verso le nuvole, aveva compiuto da poco quarant’anni. Da venti, suo malgrado, combatteva con il buon appetito e con i chili di troppo, ben visibili sul girovita, sulle guance paffute e sul doppio mento, nascosto da una barba folta che gli garantiva un certo tono serioso.
Di recente si era iscritto in palestra, nell’ estremo tentativo di perdere peso e anche se non si considerava incline ai buoni propositi, si era ripromesso di essere costante. Del resto, non aveva ancora digerito il fatto che sua moglie Maria lo avesse lasciato rimproverandogli il sovrappeso e l’incostanza!
Nonostante le difficoltà, Mario, era convinto che questa fosse, comunque, la volta buona. Ecco perché, quando finalmente oltrepassò la porta della palestra, decise di evitare il tram e di incamminarsi verso casa a piedi.
Il movimento restava prioritario.
E poi aveva bisogno di pensare. Qualcosa, come una specie di allarme installatosi d’improvviso dentro di lui, gli diceva che bisognava rivedere una serie di cose e una lunga passeggiata poteva essergli utile.
Prima di tutto era arrivato il momento di smetterla di rubare accendini ai clienti distratti del suo ristorante stringendoli con disinvoltura tra le mani giunte. Il gesto comportava un avvicinamento delle braccia e il conseguente rischio di dare risalto alla loro differenza, senz’altro disdicevole e non elegante agli occhi dei clienti più snob.
In secondo luogo, visto che gli sforzi muscolari potevano provocargli ulteriori complicanze, Mario doveva rinunciare all’abitudine di allungare il braccio destro per afferrare pezzi di cibi dai piatti di portata.
E naturalmente, doveva smetterla con la palestra; tra l’altro, nell’ora di ginnastica, le sue braccia potevano essere facilmente oggetto di sguardi indiscreti, con una serie di conseguenze sulla sua timidezza.
Tutto queste considerazioni, pensava Mario, gli imponevano di cercare un’altra soluzione per perdere peso.
L’ipotesi di rivolgersi a un dietologo era da escludere. La categoria non gli piaceva molto; per non parlare dell’idea di rivolgersi a sua moglie Maria, pure lei dietologa. Si erano separati dopo che Mario si era rifiutato di seguire la sua dieta e in ogni caso, nonostante il peso tremendo della solitudine, la maniera con cui Maria era andata via di casa, gli sconsigliava di rintracciarla!
Nella mente di Mario, mentre continuava a camminare senza sosta, si susseguivano una serie di idee in evidente corto circuito; le luci della città via via si spegnevano e il suo stomaco iniziava ad emettere suoni di fame.
Quando, ormai a notte fonda, arrivò a casa, era esausto. Sapeva bene che sarebbe stato più opportuno andare a letto dopo aver bevuto un bicchiere di latte caldo, ma preferì una doppia fetta di frittata di patate e un bicchiere di birra.
E proprio mentre masticava nervosamente una luce si accese dentro di lui. Forse un’alternativa c’era: doveva lasciare la città e subito. Per dimagrire in santa pace, senza che nessuno venisse a conoscenza del suo invisibile segreto, di quella minimale differenza che passava tra le sue braccia, doveva andare via e mettersi a girare il mondo. A piedi.
Del resto non c’era nutrizionista che non consigliasse una camminata per restare in forma. E Mario preferiva farlo fuori dalla sua città; si era stancato delle solite facce e della loro curiosità morbosa. L’impresa non era delle più semplici ma Mario, nei rari momenti di autostima, si era sempre divertito a immaginare che dietro la sua apparente pigrizia si nascondesse un viaggiatore incallito. Preparò in fretta la sua valigia e senza esitazioni si chiuse la porta di casa alle spalle. Nonostante tutto si sentiva sollevato: le pareti di quella casa, senza Maria, trasudavano di una solitudine che non era più in grado di sostenere.
Non c’era altro da fare, lo aspettava un lungo viaggio. La prima tappa sarebbe stata Roma, non l’aveva ancora visitata e ci sarebbe arrivato con il treno. Poi avrebbe proseguito il viaggio a piedi. Prima l’Italia, poi il resto dell’Europa.
La città era oramai addormentata quando Mario arrivò alla stazione.
Iniziò a salire con difficoltà gli scalini che lo portavano verso i binari. La valigia non gli pesava meno della sua pancia. Era lento e aveva la testa bassa come chi preferisce non guardarsi attorno per evitare ripensamenti. La sua scarpa da ginnastica grigia seguiva senza enfasi l’altra, di un grigio più sbiadito. Era deciso a non piegarsi davanti alla sua lentezza, ma fu costretto a fermarsi quando gli si sciolse un laccio.
E nel momento in cui Mario allungò con difficoltà la schiena per riuscire ad afferrare il laccio oltre la sua pancia, si accorse che i due piedi non erano uguali, uno era più lungo dell’altro.
Mario era terribilmente confuso. Non era in grado di capire quale dei due fosse più lungo dell’altro, ma era certamente così; si intraveda dalla forma che aveva preso la parte posteriore delle sue scarpe da ginnastica.
Lo avvolse una sensazione di impotenza mista a panico. Avrebbe voluto emettere un grido di aiuto, ma glielo impediva il movimento singhiozzante del suo diaframma. Non era possibile! Ci mancavano anche i piedi adesso! Mario era solo e sovrappeso in una stazione desolata e troppo stordito per provare a pensare a qualunque cosa. Ma non era finita lì.
Mario riuscì a stento ad arrivare il binario e mentre malediceva se stesso, la dieta, i suoi piedi, le sue braccia, guardandosi nella porta a specchi del bar chiuso, si rese conto di non aver più con se la valigia.
Non poteva essere. Anche questa adesso! Era una congiura, una congiura contro Mario Grassoni. Guardò in alto in basso, in cielo, a desta e sinistra, oltre la sua pancia, oltre i suoi piedi, dappertutto. Niente da fare.
Chi aveva potuto prendersi la sua valigia, in quella stazione senza un accenno di umanità, buia e patibolare?
Mario Grassoni era praticamente in ginocchio. Di nome e di fatto; qualcosa come un peso insostenibile proveniente dall’alto , come una frana che di colpo ti si scaraventa addosso lo aveva fatto ritrovare per terra.
Era avvilito e stanco. Fosse stato per lui si sarebbe addormentato là, in quella posizione. Che sonno che gli era venuto!Quel peso sulle spalle era soporifero e Mario non oppose resistenza. Chiuse gli occhi e si perse nel sonno.
Quando si svegliò alle prime luci dell’alba, infreddolito e con le ossa doloranti, riuscì appena a girare il collo per cercare di capire dove si trovasse. Si rese conto di essere nel letto di casa dopo aver visto il suo televisore e i suoi panni sulla poltrona di velluto blu. Si meravigliò del fatto che fossero ben piegati.
Non ricordava come fosse tornato a casa, ma ci impiegò poco per ricordare che era lunedì e che come tutti lunedì doveva iniziare la dieta. Sospirò pensando alla complessità della sua situazione e gli iniziò a salire una certa fame. Ci voleva una colazione all’americana prima di iniziare il regime alimentare equilibrato.Ma non aveva la forza di alzarsi.
D’un tratto sentì l’odore del caffè e un rumore di stoviglie provenire dalla cucina.
Dal profumo e dalla leggerezza dei passi capi che di là c’era Maria.
Sospirò di nuovo. E sorrise.
Forse una soluzione c’era.