O delli altri poeti onore e lume,
vagliami ‘l lungo studio e ‘l grande amore
che m’ha fatto cercar lo tuo volume.
Riposo delle anime, poesia,
paradiso portatile del cuore,
medicina per ogni malattia,
lo vedi, sei più vera della vita,
fatta d’anima pura e di parole …
Vivilo tu questo resto di vita,
povero fiore … fiore dei miei fiori …
io non potrò mai più vedere il sole …
perché fuori di qui mi fanno fuori …
È spaventoso quel che ho di nemici
e di diffamatori a chi più può …
tutti invidiosi, furiosi, infelici …
Persino a dire che non so il francese,
che a tradurre non ero io, no, no …
È forse la peggiore delle offese.
Oh, diffamate pure! tanto ormai …
Ormai, più su, dentro il cielo profondo,
l’azzurro indugia … più azzurro che mai …
Cari nemici che vedete il cielo
e camminate per le vie del mondo,
quello spicchio di luce che è il mio cielo
Io amo come ho amato la poesia.
Voi amate voi stessi e chi vi loda,
Ho scritto solo per malinconia,
o per non ammattire, che è lo stesso.
Scrivete per snobismo, voi, per moda,
voi volete la gloria, voi, il successo.
Tenetevelo il sole, e anche la luna,
figli di vanità del tempo vano …
a milioni le copie! … alla fortuna! …
teletrasmessi! … affabili … alla mano …
C’è una tale arroganza in ogni sano!
Patrizia Valduga
(da Corsia degli incurabili)
Prendendo la forma del monologo teatrale, la raccolta “Corsia degli incurabili”, del 1996, di Patrizia Valduga ci presenta le parole di un’esistenza malata, isolata e cinica a volte,col sarcasmo che ne nasce anche nella scelta del metro del sirventese classico del duecento. Un malato terminale, estraniato dagli avvenimenti dell’ospedale che lo ospita, pare quasi che borbotti tematiche di un certo spessore con un linguaggio poetico che alleggerisce a volte argomentazioni di chi ha vissuto il mondo. Sono noti i primi versi di una poesia forse scritta per noi lettori italiani:
Ahi! serva Italia ancora coi fascisti,
e con quell’imbroglione da operetta,
ladruncolo lacchè di tangentisti!
Le tivù ci hanno fatto l’incantesimo…
Se non scarica il cielo una saetta,
tutti servi del secolo ventesimo! (…)
Con l’atteggiamento del vecchio uomo di periferia, ritroviamo in tutta la raccolta invettive scagliate con il sorriso sulle labbra, con la serenità di chi non si immagina più tra noi, isolato tra le mura dell’ospedale.
Nella poesia che vi propongo la voce monologante si avvicina alla tematica poetica, ricordando con nostalgia i grandi poeti precedenti, onorati e stimati da tutti noi lettori che ci portiamo dietro solo una grande passione e un grande amore. Paradiso portatile del cuore, una poesia terapeutica e quasi curativa per chi non ha più nulla in cui sperare; una poesia viva e alta a cui il protagonista regala gli ultimi stralci della sua vita.
Dopo un breve attimo di commiserazione e di maliconia, i versi attaccano realtà esterne e diffamatrici, realtà di cui il nostro malato terminale si beffa e si distacca, raggiungendo presto quello spicchio di luce conservato per chi ama la poesia e non la gloria. Scrivere per curarsi, per non ammalarsi, per amare l’arte che ci appartiene; il successo che ne consegue è “moda”. Distacco completo dall’arroganza della vanità e quasi gioia nel raggiungere il cielo, questo trapela dagli ultimi versi in cui il protagonista riconosce nella malattia quasi una salvezza.
Costanza Lindi