I libri essenziali che hanno formato Goldoni sono quelli del mondo e del teatro. Il primo gli ha insegnato il carattere morale degli uomini, le loro passioni, i costumi, tutti gli aspetti positivi e negativi; il secondo, invece, gli ha insegnato la tecnica e i modi per tradurre il caos dell’umanità in comico e comunicazione pubblica.
Profondamente cosciente dei conflitti che possono nascere tra le varie classi sociali, il suo teatro ritrae l’insanabile lacerazione tra nobiltà e borghesia, tendendo comunque ad avere una visione unitaria ed integra della società. Nel teatro di Goldoni l’individuo può affermarsi comunque, indipendentemente dalla classe sociale cui appartiene, ma questa affermazione nasce solo dall’accettazione del ruolo, o del posto che egli occupa nella scala gerarchica della società. La sua emancipazione si riduce a una consapevolezza esistenziale del proprio status socio-culturale, e nella fedeltà di quei valori che contraddistinguevano la realtà mercantile veneziana dell’epoca: l’onestà, l’impegno, la dedizione al lavoro e alla famiglia, il moralismo, la repressione ad ogni impulso erotico o sentimentale. Insomma i prodromi morali e caratteriali, quasi ideologici, del nostro provincialismo.
Tra le innumerevoli classi sociali, quella dei borghesi nel teatro goldoniano riveste un ruolo centrale, con personaggi dalla fisionomia del tutto positiva, uomini di mondo che accettano l’avventura, la laboriosità e il buon senso; i nobili appaiono invece privi di saldi valori morali, chiusi in una vita monotona e parassitaria, tra manie compulsive e problemi coi debiti. Anche l’amore è componente essenziale nelle narrazioni di Goldoni, di particolare suggestione sociale: i giovani innamorati prendono infinite cautele ad ogni loro tenerezza, fremito erotico e momento di intimità, subordinati a restrizioni sociali e familiari e vivendo il sentimento non con naturalezza ma con sensi di colpa, paura e come fonte di biasimo.
In realtà il teatro goldoniano mirò molto al di là di una moralistica definizione di caratteri “positivi” e “negativi” e di una naturale rappresentazione della società di allora.
Uno dei primi grandi esempi dell’arte goldoniana, e del suo tentativo di superare gli schemi della commedia dell’arte, è nell’opera La locandiera, in mostra al teatro Sant’Angelo per la prima volta il 26 dicembre del 1752. Considerata come il simbolo della malizia e della frivolezza, eccezionale immagine di desideri inappagati, la protagonista Mirandolina, in realtà, vive il contrasto di impossibili e pericolose promesse di felicità, che rimangono soffocate da un mondo governato da una rigida e fredda impostazione classista e da regole sociali che la stessa Mirandolina ha rischiato di trasgredire. Attirando col suo fascino una serie di nobili corteggiatori, li respinge mantenendoli a distanza, impegnandosi invece a persuadere il cavaliere di Ripafratta, nemico delle donne e dell’amore. Dopo aver trascinato alla passione il cavaliere e aver sfiorato il desiderio amoroso che l’avrebbe spinta ad uscire fuori della propria condizione sociale, ella rifiuta il nobile pretendente e sposa frettolosamente il servitore Fabrizio.
In questo mondo i rapporti sono retti da una sotterranea ostilità e guidati dalla regola della “reputazione”. L’impostazione classista ed economica della società “categorizza” gli esseri umani, li riduce a schemi, il loro guadagno è la giusta misura delle loro qualità e delle loro aspirazioni, anticipando i drammi borghesi dell’800. Il comico di Goldoni sta proprio nella gioia che traspare dai violenti dialoghi e da una certa leggerezza che tenta di dissimulare il vuoto degli scambi sociali, mentre l’aggressività dei personaggi dialoganti imprime una certa crudeltà alle relazioni. La gioia nasce proprio lì, dove i protagonisti si accaniscono intorno a un niente, scendendo in profondità del loro malessere e risalendo dal vuoto e dall’inconsistenza con un sorriso. Un sorriso amaro ovviamente, frutto di un desiderio inappagato e di una frustrazione che ambisce l’impossibile.
L’impossibile e aspirare a una felicità assoluta che non trova posto in quell’universo. Tutto deve rientrare nello schematismo economico, caratteristica congenita ed embrionale del capitalismo, che da lì a poco avrebbe intrapreso la sua fase primitiva, oserei dire arcaica, col nascente industrialismo. Ed è in quei rapidi sguardi verso qualcosa di diverso, in quei momenti in cui è forte la negazione delle regole sociali che alienano l’uomo, che vive ancora la ricchezza e il fascino del teatro di Goldoni.