Questa è biografia intellettuale ed umana di un uomo che scoprì il suo talento tra mille sacrifici e rinunce e sebbene non sia tra gli autori del “900 più celebrati dalle antologie, il suo nome non è ignoto alla storia delle letteratura italiana del XX secolo. Sto parlando di Federigo Tozzi.
Senese, classe 1 Gennaio 1883, appartenne una famiglia della piccola borghesia rurale. Il padre gestiva un podere e la madre era donna umile e remissiva. L’infanzia del futuro scrittore fu costellata da maltrattamenti fisici e morali subiti dalla figura paterna che mai comprese il valore della cultura né stimolò nel figlio l’approccio allo studio. Con tale gap socio-affettivo lo sviluppo della personalità di Tozzi non fu mai completamente sereno. Poco più che adolescente, dopo la morte della madre e le seconde nozze del padre, abbandonò gli studi pur approfondendo da allora e per tutta la vita la sua passione per la lettura e le arti. La Biblioteca comunale di Siena fu infatti la sua seconda casa e lì apprese la lezione di tutti gli scrittori classici e di quelli della sua città.
Frutto di questi studi fu la raccolta antologica “Dalle origini a Santa Caterina”, pubblicata nel 1913 e contenente i contributi letterari e culturali della sua Siena; quasi un omaggio ad un luogo tanto amato ed odiato.
Poco più che ventenne lasciò la città natale trasferendosi prima a Pontedera e poi a Firenze dove lavorò come ferroviere. Fu un’esperienza del tutto nuova quella a contatto con operai, pendolari ed altri impiegati che innescò in lui le riflessioni poi raccolte nel libro-diario “Ricordi di un impiegato” che l’editore Borgese pubblicò postumo nel 1927.
Alla morte di suo padre la sua vita sembrò prendere una strada diversa ma ben pesto la speranza di potersi finalmente dedicare interamente ai suoi interessi letterari si rivelò deludente. Incapace di gestire l’eredità paterna senza per questo affliggersene, iniziò un nuovo percorso professionale trasferendosi a Roma con la moglie Emma Palagi, conosciuta tramite scambi epistolari. Nella Capitale collaborò con giornali e riviste e nello stesso periodo completò alcuni dei manoscritti che lo renderanno celebre come “Con gli occhi chiusi” e “Podere” entrambi dall’impronta fortemente autobiografica. Nel primi anni del “900 la psicoanalisi ed in generale la psicologia ispirarono molti letterati ed uomini di cultura; lo scrittore senese non ne rimase certo indifferente e la critica ha spesso letto tra le vicende dei suoi complicati personaggi, echi alla lezione di Freud, Pirandello e Kafka. Furono quelli gli anni in cui si diffuse allo stesso tempo l’espressione più alta del verismo verghiano e del senso di caducità ed inettitudine dell’uomo di Svevo che portò alla diffusione del romanzo lirico-veristico.
Il personaggio tozziano vive con e delle sue fobie, sempre timoroso di condividere apertamente i propri pensieri e ramingo quasi della vita in società come a voler “chiudere gli occhi” alla realtà. Spesso vicende e protagonisti sono rielaborazioni romanzate della stessa emotività del Tozzi attraverso la quale rielaborazione egli tenta di analizzare i rapporti umani come le relazioni padre-figlio o le personali sconfitte ed incapacità. Ne è esempio Pietro Rosi, protagonista de “Con gli occhi Chiusi” carico di intensa drammaticità.
La vita romana diede una spinta evolutiva nell’ambito delle collaborazioni con i maggiori intellettuali di quei tempi. Conobbe Borgese, Pirandello e Panzini che in diverse circostanze poterono dare consigli e saggiare il suo stile. La I guerra Mondiale era già in corso e nonostante le preziose conoscenze, fu difficile per Tozzi far conoscere le proprie opere sebbene pubblicate da case editrici di prestigio come la Treves, per la quale pubblicava Gabriele D’Annunzio. Nel 1920 fu pubblicato il terzo romanzo che chiudeva in una trilogia con i due precedenti: “Tre croci” che porta la dedica a Luigi Pirandello e che l’editore Giuseppe Borgese definì un capolavoro del realismo.
La morte lo colse improvvisamente a soli 37 anni. Poteva dirsi un’età matura ma per Federigo Tozzi sarebbe stata ancora prematura per uno scrittore che certamente avrebbe voluto e potuto dire ancora di più del suo stile narrativo frammentato ma esistenziale in grado di trattare tematiche quanto mai attuali.
A suo figlio Glauco fu affidata l’eredità morale di raccogliere gli innumerevoli scritti del padre. Furono perciò rispolverate le novelle “Giovani”, “L’amore”, il romanzo “Novale” e “Gli egoisti” opera inedita ed incompleta scoperta dopo la morte dello scrittore. Grazie alla attenta catalogazione di Glauco Tozzi aiutato dall’amico paterno Domenico Giuliotti, con gli anni “60 molte opere del Tozzi furono catalogate e si potè dare loro un giudizio meno viziato ed approssimativo rispetto a quello attribuitogli dalla critica a lui coeva.