«Era il male oscuro di cui le storie e le leggi e le universe discipline delle gran cattedre persistono a dover ignorare la causa, i modi: e lo si porta dentro di sé per tutto il folgorato scoscendere d’una vita, più greve ogni giorno, immediato.»
Così si presenta il reale nella percezione gaddiana: un «male oscuro», un «pasticciaccio» irrazionale, non dominabile né esprimibile a parole. Tale concezione disillusa e pessimistica impregnò costantemente la vita dello scrittore, riversandosi anche nelle sue opere.
Carlo Emilio Gadda nacque a Milano nel 1893 in un ambiente tipicamente borghese: il padre era un imprenditore tessile e la madre, che insegnava lettere, passò poi a dirigere alcune scuole lombarde. Ad un clima di relativa agiatezza subentrò ben presto una rovinosa declassazione, dovuta alle spese spropositate per la costruzione di una villa in Brianza e alla concorrenza dell’industria tessile giapponese. Gli anni seguenti, contraddistinti da ristrettezze economiche e dal rancore nei confronti dei genitori, segnarono profondamente il piccolo Emilio; in seguito, il rancore verso la madre si trasformò in astio quando lo costrinse ad intraprendere gli studi di Ingegneria insieme al fratello Enrico. Infatti, la formazione umanistica e la vocazione letteraria influenzarono sempre l’autore, al punto da fargli percepire i suoi studi come aridi e opprimenti.
Nel 1915 l’autore partì come volontario al fronte, speranzoso che la guerra concretizzasse il suo sogno di disciplina e ordine sociale; tuttavia quella esperienza si rivelò drammatica, poiché al trauma della guerra si unì la perdita dell’amato fratello. Dopo la prigionia in Germania Gadda aderì al fascismo, riversando sul nuovo partito le aspirazioni di ordine sociale, ben presto disattese. Tra il 1922 e il 1931 esercitò la professione di ingegnere in Italia, Europa e Sud America, a cui affiancò la produzione letteraria.
Nel 1936 la morte della madre provocò terribili sensi di colpa nello scrittore, che si concretizzarono in quello che è considerato il capolavoro gaddiano: La cognizione del dolore. In quest’opera Gadda riversa i temi principali della propria poetica: l’odio verso la madre, l’umiliazione del declassamento sociale, l’ossessione per il fratello morto in guerra e la repulsione per «l’oceano della stupidità» circostante. In seguito, con Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (1957) l’autore diede voce al caos imperante della società che lo circondava. Dopo aver ottenuto un incarico alla Rai, Gadda si ritirò in una sdegnosa solitudine, insieme alle ossessioni che sempre l’avevano tormentato. Morì a Roma il 21 maggio 1973.
La produzione gaddiana si può distinguere in due filoni: al primo appartengono le opere caratterizzate dal «dolore», tra cui: il Giornale di guerra e di prigionia, Racconto italiano di ignoto nel Novecento e La cognizione del dolore. Al secondo filone, incentrato sul «pasticcio» del mondo esterno, appartengono: L’Adalgisa. Disegni milanesi, Eros e Priapo, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana.
Il linguaggio gaddiano è pervaso da un plurilinguismo maccheronico e dall’unione di registri stilistici differenti, specchio di un mondo pervaso dal caos. Pertanto, il «barocco» della scrittura riproduce il «barocco» delle cose. Inoltre, il pastiche linguistico si unisce ad un’ accumulazione caotica che scardina la struttura delle vicende, precipitandole nel disordine più totale. Allo stesso tempo però, la creazione di un linguaggio prezioso e così insolito rappresenta l’ aspirazione gaddiana all’ordine e al riscatto dalla degradazione del reale. Un’aspirazione che tuttavia l’autore non riuscì mai a concretizzare, né in vita né nelle proprie opere.