«Anno 2035, una qualunque capitale dell’ex Unione Europea. I singoli stati che componevano la macronazione, travolti da una forza centripeta franco-tedesca e da una centrifuga incarnata dai regionalismi basco-padano-irlandesi, sono tornati allo status quo del 1996. Il denaro non ha più valore, le singole monete sono carta straccia. Il baratto è una realtà, e chi possiede veri organismi viventi – animali, verdura, ortaggi… – gode di un tesoretto effimero ma estremamente redditizio. Termini come “spread” o “welfare” galleggiano nell’oblio del senso.
Ma l’umanità, ormai schiava di una tecnologia duttile ed elaboratissima, sceglie di non pensarci, di cercare una via di fuga dalla realtà. E così, con i loro Ologrammer in grado di riprodurre in 3 dimensioni come fossero presenti ogni sorta di possibilità, impazziscono tutti per lo svago che li tiene uniti, gli permette di interagire, di sentirsi sostanzialmente vivi.
Attraverso gli Ologrammer, ogni volta che lo desiderano, si materializza Corrado, pronto a dirigere una corsa all’ultima portata ne Il pranzo è servito».
EH?
No, perché è più o meno ciò che ho provato quando ho scoperto che in questo entusiasmante momento storico, in cui devi diventare imprenditore di te stesso a calci in culo e finta partita IVA, in cui la dignità di un politico medio si misura sull’autocoscienza di quel che ha o non ha fatto, prima che su quello che potrà o non potrà fare, in cui si vendono 40 miliardi di app ma non si rientra minimamente dei costi alimentando così la grande truffa del rock and roll in nuovi contesti, beh, in questo momento storico, la gente va fuori di testa per Ruzzle, la versione social del Paroliamo di Frizzi a trent’anni di distanza. Che poi io ce l’avevo, il gioco in scatola: cubo di plastica pieno di dadoni da tre centimetri con le lettere stampate modello anti-miope; forse ce l’ho ancora, ma mio papà ha svuotato a tradimento la cantina e temo abbia dato via anche quello. Un totem – meno stupido d’altri – di quegli anni, tipo il Tricky Traps o Maurizio Seymandi.
Non so se devo veramente spiegarvi come si gioca; perché immagino che, come successe per quei simpatici uccellini incazzusi che abbattono maiali verdi, ormai tutti vi sarete fatti un’idea. C’è uno schema random di 4×4 lettere e col ditino dovete unirle in parole di senso compiuto: più le parole sono lunghe più fate punti; più le lettere che usate valgono – come a Scarabeo, per capirci – e più fate punti; più inglobate lettere dalla cornice colorata, cioè che offrono vari bonus, più fate punti. Tre round da due minuti a match uno contro uno, si sommano i punti e chi ne ha di più vince. L’unica qualità richiesta, oltre ovviamente ad avere un dito e uno smartphone, è sapere l’italiano, inteso come vocabolario e ortografia. Ruzzle, a livello di regolamento, finisce qui. Possiamo discutere sul bagaglio di parole considerate valide dal sistema: mi girano un po’ i chitarrini quando riesco a mettere insieme capolavori come “osandole” o “mordimi” e me li scarta, perché i verbi non hanno dignità di senso compiuto con un pronome incollato, mentre accetta tranquillamente oscuri lemmi senza significato apparente come “citti” o “urte”. In cambio sei pronto per una fulgida carriera politica quando infili un “sestile” o un “fellone”, magari farcito di bonus; e ovviamente, in questi casi non si tratta mai, non può trattarsi!, di culo: se le hai trovate è perché le hai lette e le sapevi, poco da farci. Già ti vedi copywriter per Armando Testa, immaginando un colloquio travolgente di fronte ad un infuocato parterre di vice manager e cacciatori di teste:
– Dunque, lei non ha esperienza in nessun campo, ma voglio darle un’ultima chance. Cerchiamo qualcuno influente nel web 2.0 e dalla proprietà di linguaggio sontuosa: come pensa di convincerci?
– Beh, guardi, non solo ho 3.500 amici su Facebook e più di 2.000 followers su Twitter, ma vanto 68 di Klout e soprattutto un punteggio medio di 1.700 su Ruzzle.
– Oh mio Dio, ma lei è esattamente il tipo di persona che cercavamo! È assunto!
(Lo ammetto: il fatto che la mia testa l’abbia partorito mi convince automaticamente che questo dialogo sia già avvenuto, magari in quel meraviglioso continente in cui simili bestialità sono all’ordine del giorno – quello che inizia per “Am” e finisce per una nota pianta tappezzante dai fiorellini allegri).
Detto questo, è una settimana che ci gioco ora con distacco, ora con ferocia, ora surplace, ora col coltello tra i denti. Devo dire che in media viaggio sui 1200-1300 punti a partita, con picchi surreali di 2200, e non so valutare a che altezza della scala evolutiva di Ruzzle mi collochi: probabilmente sono tra un cronista sportivo e Casini, sicuramente sotto D’Alema o Gadda e sopra Amici! e le Cinquanta sfumature (ah, detto per inciso: in rete si trovano più lamentele riguardo alle parolacce presenti – non assenti: PRESENTI! “Merda” o “Stronzo” non sono italiano? Ah, pensavo – che a quelle assenti). Detto questo, ad oggi ho perso una decina di partite su, boh, un centinaio: onore a EmmaPara, LisaCasti, un paio di amici e altri che non ricordo. Per il resto, a parte alcune sfide appassionanti vinte sul filo del rasoio, ne ho portate a casa con punteggi mostruosi, 1.500 a 350 o roba del genere. Essendo uno dei punti di forza di Ruzzle quello di costringerti (a meno che non si paghi la versione premium, ma diciamocelo: sono 2 euro e 50 che potrete comodamente investire nella dose settimanale di caffè alla macchinetta dell’ufficio) a confrontarti con l’universo mondo, viene quindi da chiedersi: giocano tutti bendati? Il panico da prestazione si è spostato dalla sfera sessuale alle app? O il livello scolare del possessore medio di smartphone è imbarazzante?
Spero che non sia Ruzzle il termometro di questo parametro.
Altrimenti, uhm. C’è ancora tempo per depositare il mio marchio e imbastire una lista? Ho appena composto sullo schema “SBARRAMENTO AL 4%”, ho un futuro!