Sono vegetariana da 16 anni, alcuni pensano che i vegetariani siano persone strane, anch’io lo penso di me, ma certo non per quello che mangio. Altro pensiero comune è che, come se appartenessi ad una setta, il mio scopo principale sia fare proseliti: non lo è. Invece, checché se ne dica, da invitata qualsiasi ad una cena, da persona tra la gente ad una festa, in ogni occasione in cui io conosca qualche nuova persona e ci sia del cibo, vengo sottoposta a centinaia di domande condite da ipotesi curiose. Come mai? Da quando? Sei allergica? È una cosa religiosa? E il ferro, te le fai le analisi? Io abbasso gli occhi, ma non per la vergogna, per il furore cieco che sarà sicuramente oramai leggibile. Mi chiedo cosa faccia pensare a questi sconosciuti che io voglia o debba parlare dei fatti miei, metterli a parte dei miei esami del sangue. Oramai sono rodata, mugugno due frasi standard e m’allontano. Una volta però non ho potuto. Un ragazzo mi chiese se mangiassi il pollo e davanti ad un mio sconcertato no, chiedendomi quale fosse la ragione della sua domanda, quello candido mi rispose: vabbè, ma i polli sono stupidi. Lo guardai fisso e risposi: se questa è la ragione dovrei mangiare anche te. Era davvero un imbecille. Gli imbecilli tirano fuori, in me come in tanti altri, il peggio. Istinti brutali e animaleschi. E se qualcuno decidesse di eliminarli?
Questa è la missione del protagonista di “La strage degli imbecilli” di Carl Aderhold. L’avvio del suo proposito di sterminio di genere è determinato da un gatto, un micio che frequenta abitualmente casa sua che, in seguito ad un piccolo sgarro ai danni del novello angelo della morte, viene fatto volare giù dal quarto piano. Come ogni serial killer che si rispetti, il primo furore dell’imbecillicida si abbatte su animali, cani e gatti, col nobile scopo di unire gli abitanti del quartiere in un sentimento di pietas comune. Non basta. La vita di tutti non è migliore così come l’ammazzatore si aspettava. Quale dunque mezzo migliore dell’assassinio di esseri abbietti come gli imbecilli può migliorare la vita di tutti? Il proposito viene compiuto con ogni mezzo a disposizione, coltelli, pistole o incidenti programmati non fa differenza e, soprattutto, nessuno è al sicuro. L’antieroe di questa storia giunge persino a redigere un manifesto programmatico della sua efferata battaglia, senza raccontarne i risvolti pratici ovviamente, con un poliziotto, assiduo frequentatore della sua casa a seguito, non c’è da dirlo, dell’assassinio di una persona molto vicina al protagonista.
L’idea da cui il libro prende le mosse è geniale, senza ombra di dubbio, e gode anche di un’intuizione eccezionale: più gli imbecilli crescono di numero, più si fa alta la percentuale di possibilità che il lettore, d’improvviso, e dopo aver tifato malignamente per l’omicida fino ad allora, si identifichi in uno degli imbecilli tolti dalla faccia della terra. La convinzione mostrata allora per buona parte della lettura vacilla, si è spiazzati. Non la stessa cosa può dirsi però in generale, malgrado l’inizio scoppiettante il libro a tratti si fa ripetitivo e monotono e, in una sorta di parabola discendente, scontato. Da premiare il tentativo senz’altro, senza troppe aspettative però.
Mi chiedo ora se il ragazzo che mi rivolse la domanda sul pollo non avrebbe meritato una fine come quella degli imbecilli di questo libro, poi però un pensiero mi raggela il sangue: e se qualcuno, magari proprio leggendo questa recensione, pensasse la stessa cosa di me?