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Il comando di Primo Levi.

Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

 

Non voglio peccare di banalità, ma mi sembrava giusto proporre questa poesia in merito a ieri, giornata della Memoria. L’ho ripetuto spesso e qui lo ribadisco nuovamente: è importante ricordare, è importante non dimenticare fino a quali limiti può spingersi l’uomo, quanto al di là dell’umanità stessa può andare. E’ importante, sempre.

La verità è che siamo tutti bravi a scrivere quattro righe sulle vittime del nazismo, ora sul social network di turno, ora su un blog, ma il minuto di silenzio che ci hanno imposto moralmente di fare non ci potrà mai avvicinare davvero a quelle vittime. Per questo, con la più totale umiltà vi presento, oggi quella che per me è la poesia manifesto dell’orrore e della bestialità. Attraverso le parole di Primo Levi vi comando anch’io, di lasciare che questa poesia vi commuova, che scolpisca nei vostri cuori il dolore e la pietà.

Un’intera poesia, basata sulla ripetizione di un imperativo deciso, che ci rammenta di non dimenticare, di ripetere la storia giorno dopo giorno ai nostri figli, ai nostri nipoti. Di tramandare la macabra storia di generazione in generazione.

La poesia che si trova come introduzione al libro “Se questo è un uomo”; si potrebbe ripresentare ancora oggi, coprendola di altre vesti: altre guerre, altri innocenti vengono spogliati della loro dignità di essere umani…in questo istante. Le mani però coprono gli occhi; è diventata banale persino la sofferenza e il monito di Primo Levi e di tutti gli altri par quasi che si perda al vento, insieme al sangue degli innocenti, che muoiono per guerre e soldi, per Stati e Uomini, troppo più grandi di loro, troppo al di sopra di loro. La poesia fa appello alle persone normali, a quelle che si svegliano con la famiglia, nel tepore delle coperte calde, del cibo nel frigorifero e dei sorrisi rincuoranti; fa appello a voi, che leggete seduti dietro una comoda scrivania o sul divano. Fa appello a noi, di considerare, di valutare se è questa la condizione per cui è nato l’uomo, se può essere definito tale quando lotta nel fango e muore per un po’ di pane. Levi forza il cuore, con brutalità e astuzia, penetra nel profondo di chi legge e fa un po’ male perchè preme sulla pietà e sul senso di ingiustizia; ci strugge quando ci getta davanti gli occhi, con toni e gesti indignati, la donna senza più capelli, in ginocchio sul pavimento, con gli occhi di chi non vuole più ricordare e nessuna vita nel cuore. Dopo questo dolore è giusto comandare, a chi legge, di ricordare e tramandare.

Dovremmo farlo ancora, dovremmo farlo oggi, dovremmo farlo sempre.