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George Orwell, mondi onirici e distopici cult della letteratura del XX secolo.

La stanza 101 è il luogo in cui si snodano, come decisive, le vicende che ruotano attorno ai protagonisti del romanzo “1984” il capolavoro indiscusso di George Orwell; colui che ha inventato il Grande Fratello ed ha osteggiato, con stile talvolta sarcastico, ogni totalitarismo. Spiace constatare che in Italia negli ultimi anni sia frequente il fenomeno associativo della teoria del “Grande Fratello” ad un becero format televisivo. È pertanto quanto mai necessario raccontare la lezione dell’indiscusso genio letterario del XX secolo, fautore del pensiero distopico.

Chi era dunque George Orwell? Com’è giunto a costruire quei mondi totalitari dove l’uomo si conforma ad una esistenza priva di ogni forma di individualismo ed in cui è assente ogni libertà personale, soggiogata da un deus ex machina che controlla le azioni e i destini degli abitanti del suo Mondo? La risposta sta probabilmente nelle sue intricate e appassionanti vicende umane e non è certo retorico pensare che la sua vita, apolide e spartana, abbia segnato la sua coscienza. Il suo vero nome fu Eric Arthur Blair e nacque nel 1903 in una remota località dell’India nord orientale. A soli due anni tornò nella madrepatria inglese per compiervi gli studi. Qui con la madre e le sorelle condusse negli anni dell’infanzia e adolescenza un’esistenza parca ma non priva di interessanti esperienze come quando a soli 14 anni fu ammesso al College di Eaton. Nel prestigioso istituto ebbe per qualche anno come docente di letteratura,  lo scrittore e pensatore Aldous Huxley, l’uomo a cui probabilmente si deve la prima  formazione del pensiero distopico. Fu proprio il professor Huxley ad inventare un’utopia al rovescio, un luogo immaginario dove tutto é dominato da un’unica mente bramosa di controllare ogni azione umana, distopia appunto.

La vita in collegio fu tuttavia insopportabile per il giovane Eric che decise nel 1922 di rientrare in India motivato dal desiderio di servire il suo paese. Fu quindi inviato in Birmania come soldato, ma quell’esperienza lo segnò particolarmente a causa del ruolo fortemente oppressivo dei colonizzatori britannici. L’approccio con la cultura locale fece nascere in lui il desiderio di raccontare quelle esperienze a contatto con individui che vivevano in modo tanto diverso dal resto degli europei, ma soprattutto rimase sconvolto dalla violenza di cui erano capaci i suoi connazionali e gli stessi birmani nei confronti della popolazione più debole. Così scrisse “Giorni in Birmania”, pubblicato  nel 1934 e decise di ritornare in Inghilterra. Da qui, con scarsissime risorse finanziare, tentò una sorte migliore partendo alla volta di  Parigi dove inizialmente collaborò con  Le Monde.

I suoi primi scritti giornalistici furono firmati con lo pseudonimo George Orwell, che sarà il nome che lo identificherà da quel momento. Nel volgere di pochi anni tornò in Inghilterra alternando l’attività di recensore, insegnante, libraio, con la passione per le inchieste e la scrittura. Sempre molto vicino alle battaglie dei più deboli, assistette alle rivolte dei minatori del nord dell Inghilterra. Le molteplici  esperienze vissute  sino a quel momento furono rielaborate in due romanzi dal forte accento autobiografico: “La strada per Wigan Pier” del 1937 e “Fiorirà l’aspidistra”. Tra il 1936 e il 1944 la vita di Orwell fu caratterizzata da eventi fondamentali per la sua formazione, partendo dal matrimonio con la sodale Eileen con la quale pochi anni dopo adotterà un bambino, Richard Horatio Blair, per non parlare del suo coinvolgimento nelle vicende belliche della Spagna  che lo vedranno sul campo di battaglia contro l’esercito franchista. Visse gli anni del secondo conflitto mondiale con sentimenti contrastanti e di vera prostrazione; fu riformato dalla carriera militare per le sue precarie condizioni di salute, lui cosi desideroso di riprendere la vita di soldato. Le nefandezze compiute dai regimi totalitari nazisti e fascisti fecero il resto, provocando una svolta ideologica che lascerà il segno nel suo testamento morale: i suoi romanzi ed articoli. In quegli anni lavorò come giornalista per la BBC, il Tribune, l’Observer trattando di guerra e di potere, quello dei forti, mai dimenticandosi delle vittime e maturando il progetto dei due romanzi che costituiranno la matrice del  pensiero orwelliano: “La fattoria degli animali” e 1984.

La prima opera narra sottoforma apparentemente parodistica le vicende di un gruppo di animali che organizza una rivolta contro l’ordine costituito dai propri padroni, divenendo alla fine essi stessi una versione antropomorfa di questi ultimi. Ambientate alla Bury Farm di Wallington in cui Orwell visse per alcuni mesi, le vicende sono descritte con narrazione scorrevole e la prosa è accattivante; per questo ancora oggi viene adottato come libro antologico per l’insegnamento della lingua inglese. L’ intento pedagogico de “La fattoria degli animali” è l’esaltazione dei  sentimenti dei più deboli per i quali l’autore nutre la speranza di un riscatto che nel corso della trattazione cede al pessimismo ed alla consapevolezza che anche i più deboli della società diventino lo spauracchio di se stessi quando vogliano emulare i propri dominos.

Nel 1948 Orwell completò il suo capolavoro. Si citava all’inizio la stanza 101. Ebbene, questo libro è la doppia metafora sia della impossibilità per noi stessi di superare le nostre più devastanti paure sia della pericolosità ed insensatezza dei regimi totalitari che nel Grande Fratello avranno la  più tragica delle trasformazioni. La storia del protagonista, Winston Smith, e della sua amata Julia, si snoda  in un mondo dominato da tre grandi potenze in continua lotta tra loro e dove lo slogan ripetuto alle masse è “La pace è guerra, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” ed il partito ha potere di vita e di morte sui suoi sudditi. “1984” non è solo un  romanzo ma è diventato un’icona, addirittura uno status symbol in alcuni periodi del secolo appena trascorso, soprattutto nel momento in cui alcuni  totalitarismi vecchi e nuovi del nostro Mondo hanno visto la  fine. George Orwell, al pari di  Albert Camus, Arthur Koestler, ha sperimento sulla propria pelle gli effetti del superamento del limite oltre il quale la politica ed il partitismo diventano assurde parodie di se stesse.

Fu un uomo estremamente pacato, riflessivo  e garbato nei modi, da come è stato descritto dai  suoi biografi e dallo stesso figlio Richard Horazio. Si spense nel 1950 per il riacutizzarsi della tubercolosi. Chissà se da qualche parte il suo occhio starà ancora guardando questo nostro sgangherato Mondo.